In difesa del saccheggio (di Vicky Osterweil)

In difesa del saccheggio (di Vicky Osterweil)

Che i barbari si scatenino. Che affilino le spade, che brandiscano le asce, che colpiscano senza pietà i propri nemici. Che l’odio prenda il posto della tolleranza, che il furore prenda il posto della rassegnazione, che l’oltraggio prenda il posto del rispetto. Che le orde barbariche vadano all’assalto, autonomamente, nei modi che decideranno, e che dopo il loro passaggio non cresca più un parlamento, un istituto di credito, un supermercato, una caserma, una fabbrica. (Crisso, Odoteo – Barbari, L’Insorgenza Disordinata)


Pubblico sulle pagine di Nulmal alcuni estratti da un interessantissimo contributo scritto da Vicky Osterweil e originariamente pubblicato per The New Inquiry. Un articolo che, negli ultimi mesi, è tornato più attuale e valido che mai visti i recenti movimenti di protesta emersi oltreoceano come Black Lives Matter ed estremamente utile per dare una lettura diversa da quella dominante alle azioni e ai momenti di insurrezione che hanno attraversato e stanno tuttora attraversando la società statunitense (ma non solo). Un testo che, a differenza di innumerevoli voci reazionarie (spesso uomini bianchi cis ed etero) fedeli al mantenimento dello status quo che vorrebbero insegnare alle classi più oppresse e alle frange più emarginate della popolazione i presunti modi legittimi per insorgere o protestare, denunciando come incivili e barbare determinate azioni, pone l’attenzione sulla pratica del saccheggio, analizzandone la sua validità da un punto di vista sociale, politico e storico. Come sostiene  difatti la stessa autrice nell’introduzione dell’articolo: <<for most of America’s history, one of the most righteous anti-white supremacist tactics available was looting>> Dopotutto il il saccheggio è una pratica che da sempre emerge prepotentemente nelle situazioni di rivolta e nei momenti che manifestano tensioni dal potenziale insurrezionale, in quanto mette in totale discussione l’idea stessa su cui si fonda il capitalismo e la società odierna , ovvero la proprietà privata, difesa dalla violenza dello Stato attraverso i suoi organi di repressione poliziesca e, dunque, il riappropriarsi (o la distruzione) della merce rappresenta un momento fondamentale di interruzione dello spettacolo mercantile e della sua oppressione sulle nostre vite di produttori-consumatori sacrificate sull’altare del profitto di pochi.

Una parte della traduzione che andrete a leggere è opera di Nicola Carella ed è stata presa direttamente dalla pagina fb di Liaisons Italiaun’altra porzione è invece totalmente inedita. Le uniche aggiunte che mi sono permesso di fare a questi frammenti dell’articolo intitolato In Defense of Looting è la citazione iniziale estrapolata dal pamphlet “Barbari, l’insorgenza disordinata” e una conclusiva tratta direttamente da un opuscolo pubblicato qualche mese fa in merito alle rivolte che stavano incendiando il Cile. Prendete dunque i frammenti che andrete a leggere nelle seguenti righe come fossero dei semplici contributi alla lotta, destinati ad essere discussi, corretti e soprattutto messi in pratica senza perdere tempo, per parafrasare il caro, vecchio e sempre attuale Vaneigem. Buona lettura.


“…L’affermazione ideologica e mistificante che il saccheggio sia violento e apolitico è stata prodotta con cura dalla classe dominante perché è proprio la difesa violenta della proprietà il mezzo e il fine del suo potere.
Il saccheggio è estremamente pericoloso per i ricchi (per la maggior parte bianchi) perché rivela immediatamente che l’idea di proprietà privata è proprio questo: un’idea, una struttura tenue e contingente di consenso, sostenuta dalla forza letale dello Stato. Quando i rivoltosi prendono il territorio e saccheggiano, stanno disvelando esattamente come, in uno spazio senza poliziotti, i rapporti di proprietà potrebbero essere distrutti e le merci distribuite gratuitamente. A un livello meno astratto c’è un vantaggio pratico e tattico nel saccheggio. Ogni volta che le persone si scandalizzano per il saccheggio, c’è la convinzione che il saccheggiatore agisca sempre in modo egoistico, “opportunistico” ed esasperato… solo se credi che avere cose belle gratis sia sbagliato, se credi, in breve, che l’attuale regime di proprietà (suprematista bianco, colono-colonialista) sia giusto, puoi credere che il saccheggio sia di per sé amorale…
…i bianchi sbandierano l’idea del saccheggio in un modo che implica che le persone di colore siano avide e pigre, ma è esattamente l’opposto: il saccheggio è un atto pericoloso conquistato a fatica e con conseguenze potenzialmente terribili, e i saccheggiatori stanno solo rubando ai ricchi proprietari i loro margini di profitto. Quei proprietari, nel frattempo, soprattutto se possiedono una catena come QuikTrip, rubano quaranta ore ogni settimana a migliaia di dipendenti che in cambio ottengono il privilegio di non morire per altri sette giorni….
E l’ipotesi che il saccheggiatore non stia condividendo il suo bottino è altrettanto razzista e ideologica. Sappiamo che le comunità povere e le comunità di colore praticano più mutuo aiuto e sostegno rispetto alle ricche comunità bianche, in parte perché sono costrette a farlo. La persona che saccheggia potrebbe essere qualcuno che deve darsi da fare ogni giorno per tirare avanti, qualcuno che, afferrando qualcosa di valore, può permettersi di trascorrere il resto della settimana protestando “non violentemente”. Potrebbero nutrire la loro famiglia o persone anziane nella loro comunità che sopravvivono a malapena con la previdenza sociale e non possono lavorare (o saccheggiare) da sole. Potrebbero semplicemente espropriare ciò che altrimenti comprerebbero – liquori, per esempio – ma rappresenta comunque un modo materiale in cui le rivolte e le proteste aiutano la comunità: fornendo una modalità alle persone di risolvere alcuni dei problemi immediati della povertà e creando un spazio in cui le persone possano riprodurre liberamente le loro vite piuttosto che farlo attraverso il lavoro salariato.”

“Di fronte a una tale estensione della rivolta, c’è una tensione classica che vorremmo inoltre sottolineare: quella tra la riappropriazione dell’esistente e la sua distruzione […]
Se i saccheggi dei beni di consumo si moltiplicano, abbiamo anche potuto vedere una parte dei rivoltosi incendiare i templi del consumo, e altri gettare decisamente nel fuoco schermi al plasma e altri apparecchi appena espropriati per incendiare le barricate. […]

Passaggio tratto dall’opuscolo “Il Cile in Fiamme”


Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.