La Crisi di Oka – l’Ultima Resistenza dei Mohawk

La Crisi di Oka – l’Ultima Resistenza dei Mohawk

Il 26 settembre del 1990 si concluse un’importante disputa territoriale tra il governo canadese e le popolazioni originarie Mohawk; la disputa, che viene considerata come l’ultima grande rivolta e resistenza del popolo Mohawk, iniziò solamente pochi mesi prima, ne luglio del 1990 e passò alla storia con il nome di “Crisi di Oka”. Ma andiamo con ordine cercando di ricostruire gli eventi per evidenziare, nella sua breve durata, l’importanza di questo momento di lotta e di resistenza che ha interessato la comunità Mohawk di Kanesatake.

La disputa è scoppiata nel momento in cui le autorità della città di Oka, nel Quebec, hanno deciso in modo arbitrario, ossia senza previa discussione con i popoli nativi, di utilizzare un terreno sacro della comunità Mohawk di Kanesatake (che loro chiamavano con il nome di “terra dei pini”) per costruirvi sopra un campo da golf e un complesso residenziale di lusso. Appena la notizia trapelò, le comunità delle nazioni indigene originarie decisero di rispondere a questo attacco istituzionale di stampo neocoloniale ergendo alcune barricate per impedire l’accesso al territorio sacro e di conseguenza bloccando l’inizio dei lavori che avrebbero violato, devastato e saccheggiato il territorio Mohawk.

Il sindaco di Oka dinanzi alla Resistenza messa in atto dalle comunità Mohawk a difesa delle proprie terre decise di far intervenire la Surete du Québec, ossia la polizia provinciale della regione. Le forze di polizia, schierate in assetto militare sul territorio occupato dai nativi, iniziarono immediatamente ad assaltare le barricate con lanci di lacrimogeni e di bombe accecanti, cercando in questo modo di spezzare la resistenza dei Mohawk, i quali però erano disposti a tutto tranne che ad indietreggiare e abbandonare la lotta. In questa situazione confusa di scontro aperto, un uomo rimane disteso a terra senza vita; si tratta del caporale Marcel Lemay, ucciso da alcuni colpi di pistola sparati da qualcuno di cui fu impossibile stabilirne l’identità. È a questo punto che le forze poliziesche della Surete du Québec capiscono che non gli resta altra alternativa se non abbandonare le terre occupate dai nativi Mohawk e ritirarsi.

Nei giorni seguenti all’assassinio di Lemay si manifestò in tutta la sua brutalità l’azione vendicativa e repressiva dello stato canadese che diede inizio ad una serie di arresti arbitrari ed indiscriminati di uomini, donne e anziani Mohawk in tutto il paese, anche coloro che vivevano lontani dalle terre occupate e che non avevano partecipato agli scontri. Successivamente a questa imponente azione repressiva dello Stato canadese, una moltitudine di nativi appartenenti ad altre First Nations e comunità indigene del Nord America raggiunsero i territori occupati dove resisteva la lotta della comunità Mohawk di Kanesatake. A questo punto le forze poliziesche del Québec decisero di bloccare ogni via di accesso alla cittadina di Oka, in modo da impedire che aumentasse il numero di nativi che resistevano sulle barricate a difesa delle terre sacre occupate. La tensione tra istituzioni dello Stato canadese, cittadinanza di Oka e Mohawk cresceva giorno dopo giorno e presto la situazione precipitò al punto che il governo dovette schierare contro i resistenti nativi 2500 soldati appartenenti alla Royal Canadian Mounted Police, alzando ancora di più il livello di provocazione e scontro. Provati dalla crescente repressione, dagli scontri, dalle violenze e dagli sgomberi, in data 29 agosto i Mohawk si apprestarono a negoziare la fine delle ostilità. Infine, il 26 di settembre, con l’atto simbolico di bruciare le loro armi in un incendio appiccato nei pressi dei territori sacri occupati, i resistenti Mohawk si arresero alla violenza militare e alla repressione poliziesca messe in atto dallo Stato canadese. Come conseguenza di questi tre mesi di resistenza e di rivolta i nativi che avevano partecipato attivamente all’occupazione delle terre furono arrestati, picchiati brutalmente ed infine condannati.

Questo breve ricordo della Crisi di Oka vuole fungere semplicemente da ennesimo esempio e simbolo di resistenza indigena contro le costanti violenze governative che proseguono da secoli ai danni delle comunità e delle popolazioni native, le quali attraverso lo strumento della lotta (armata e non) possono difendersi e contrastare l’oppressione dello Stato e del Capitale.

Per completare la narrazione degli eventi dell’ultima grande resistenza dei Mohawk riporto un contributo del compagno Olmo pubblicato su Earth Riot:

“Il 26 settembre 1990 è una data tristemente nota. Trascorsi mesi di combattimenti i guerrieri Mohawk dei territori di Kahnawake e Kanesatake vicino a Montreal in Quebec (Canada) si arrendono. Dopo aver fronteggiato l’esercito di terra canadese, formato da migliaia di soldati, (aiutato dalla marina militare e l’aviazione) per oltre 80 giorni, in un ultimo disperato tentativo di resistenza, cercano di salire sui monti ma vengono raggiunti e colpiti brutalmente dai soldati armati. La loro colpa? Salvaguardare dei luoghi che loro ritenevano sacri e che una società americana aveva deciso di occupare per costruire immensi campi da golf. Foreste, fiumi, altipiani meravigliosi inceneriti per il divertimento di imprenditori e dirigenti di multinazionali. E’ dal 1614 che i Mohawk combattono contro l’invasione delle loro terre, prima gli olandesi poi i francesi e infine gli americani di fine ottocento. Gli amministratori della società di golf pensavano di minacciare dei nativi mezzi ubriachi e comprabili con una stecca di sigarette, non avrebbero mai immaginato lontanamente di trovarsi davanti invece il coraggio di uomini e donne che per 4 secoli non si erano mai fatti piegare da nessuno.

<Volete le nostre terre ? Bene!
Allora bruceremo tutto>.”

 

 

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.