Questione Indigena e Guerriglia Rivoluzionaria in Guatemala

Questione Indigena e Guerriglia Rivoluzionaria in Guatemala

Il Guatemala dal punto di vista della questione indigena è un contesto fortemente interessante nel quale poter indagare ed analizzare il rapporto tra la rivoluzione e la lotta armata e la partecipazione delle comunità indigene alla guerriglia, ancora prima che emergesse l’esempio dell’EZLN e della sua insurrezione armata nel 1994 in Chiapas. Infatti il Guatemala, nel contesto latino americano, può essere considerato, ancora più del Messico in cui è emersa la guerriglia zapatista, come la patria indigena per eccellenza visto che il 70% della sua popolazione è di discendenza Maya. Ed è proprio sulle montagne e nelle selve guatemalteche che è emersa per la prima volta la maggior partecipazione indigena ad una guerriglia.

Nel 1962 sono emerse nel contesto guatemalteco le Fuerzas Armadas Rebeldes (FAR) nate dall’alleanza tra il Partido Guatemalteco del Trabajo (PGT) e un gruppo di ufficiali che avevano partecipato alla fallita ribellione del novembre 1960 contro il regime di Miguel Ydigoràs. Questi ultimi avevano deciso di insorgere contro il governo di Ydigoràs poichè scontenti del fatto che il Guatemala fosse diventato una colonia degli Stati Uniti successivamente all’invasione e al golpe militare organizzato dalla CIA e dagli USA per rovesciare il regime di Jacobo Arbenz, accusato di essere comunista, favorire l’infiltrazione sovietica nel contesto latino americano e quindi di minacciare l’egemonia statunitense nell’area.

Inizialmente la guerriglia delle FAR era guidata da insorti che erano meticci urbani totalmente disinteressati e distaccati dalla popolazione indigena e contadina delle comunità rurale. Solo successivamente i guerriglieri delle FAR scoprirono il mondo indigeno arrivando a dichiarare che “sono loro che guideranno la rivoluzione in Guatemala”. Inoltre arrivarono alla conclusione che i contadini erano la forza centrale della rivoluzione e l’indigeno sarebbe stato la sua forza decisiva. I membri delle FAR iniziarono quindi a riconoscere l’esistenza di una nazionalità indigena caratterizzata e portatrice di una sua peculiare cultura. In questo modo l’indigeno cominciava ad essere considerato come una forza motrice all’interno del processo rivoluzionario poichè anche lui, e quindi non solo la classe operaia, era dotato di un potenziale rivoluzionario.

Nonostante tutto questo però il pensiero rivoluzionario dei guerriglieri delle Fuerzas Armadas Rebeldes rimaneva fortemente ancorato all’ideologia marxista classica, ovvero quell’ideologia fortemente anti-contadina e anti-indigena che insisteva ancora sul ruolo dell’avanguardia rivoluzionaria e perciò distinguendo nettamente tra la forza maggioritaria della rivoluzione (ovvero la classe contadina) e la forza dirigente della rivoluzione incarnata dalla classe operaia, come sostenuto dal marxismo ortodosso.

Negli anni ’80 ci fu un nuovo e rapido sviluppo della guerriglia di natura indigena sia per il costante apporto di combattenti indigeni sia per il supporto e l’aiuto delle comunità rurali. Tra il 1981 e il 1982 la reazione del governo centrale guatemalteco e dell’esercito guidato dal generale Rios Montt fu la repressione brutale ai danni dei guerriglieri e delle comunità indigene causando centomila morti e quarantamila tra detenuti e desaparecidos. nelle regioni del Quichè e dell’Alta Verapaz;

Questo ingente afflusso di combattenti indigeni nella guerriglia rivoluzionaria e l’appoggio delle comunità rurali che era iniziato negli anni ’80 e che continuava nonostante la dura repressione dell’esercito guatemalteco, erano le conseguenze dirette del cambiamento nell’analisi e nella pratica delle organizzazioni guerrigliere armate come le FAR, di un processo di crescita del movimento indigeno-contadino a livello rurale e della violenza diffusa e brutale messa in atto dallo Stato.

Nel 1982 l’Ejèrcito Guerrillero de los Pobres (EGP) dopo aver analizzato la complessità della realtà indigena guatemalteca, arriva alla conclusione che all’interno del paese esistono due contraddizioni: quella di classe e quella etnico-nazionale. Inoltre l’EGP ha rivelato l’esistenza all’interno della società di una cultura dominante e un’altra dominata; di conseguenza i rapporti capitalistici che colpiscono l’economia e la cultura indigena fossilizzano nell’immaginario comune l’indigeno all’interno del ruolo di contadino povero e quindi passivo rispetto al suo destino.

I guerriglieri delle FAR e dell’EGP erano convinti che la rivoluzione guatemalteca fosse vicina a risolvere le due contraddizioni principali che si presentavano all’interno della società, ovvero quella di classe e quella etnico-nazionale. Per quanto riguarda la contraddizione di classe la risoluzione sarebbe avvenuta solamente attraverso il cambiamento dei rapporti di produzione che porterebbero alla fine dello sfruttamento (idea cara all’ideologia marxista più classica). Per quanto riguarda la contraddizione etnico-nazionale, essa si sarebbe risolta grazie all’eliminazione dell’oppressione e della discriminazione subite dalle comunità e dalle popolazioni indigene.

L’Ejército Guerrillero de los Pobres attua cosi una netta distinzione tra lo sfruttamento economico (contraddizione di classe) e l’oppressione/discriminazione culturale (contraddizione etnico-nazionale). Nonostante questo però l’oppressione culturale, all’interno della teoria e pratica rivoluzionaria delle forze guerrigliere armate guatemalteche, continua ad essere subordinata alla lotta contro lo sfruttamento economico in quanto si ritiene l’aspetto etnico solamente come un complemento della motivazione principale del processo rivoluzionario, ovvero la lotta di classe.

Appare cosi chiaro che l’interesse dell’EGP e delle FAR verso la questione indigena, influenzato fortemente dalla dottrina marxista più ortodossa, era orientato fin dal principio verso l’idea che la popolazione indigena debba integrarsi nel processo rivoluzionario non in quanto etnia/cultura ma in quanto classe sociale contadina, e quindi subordinata alla forza dirigente della rivoluzione incarnata dalla classe operaia. Dopo tutto sia l’Ejèrcito Guerrillero de los Pobres che le Fuerzas Armadas Rebeldes, nonostante la tendenza ad abbracciare l’indigenismo, aveva come principale obiettivo quello di sviluppare l’economia del Guatemala cambiando i rapporti di produzione e ponendo fine allo sfruttamento della classe proletaria, piuttosto che cercare il riscatto delle etnie e delle culture indigene sottomesse e oppresse per secoli.

Per l’EGP infatti la rivoluzione dovrebbe portare ad una nuova organizzazione socio-economia a livello nazionale basata sull’idea socialista e perciò in netta opposizione alla cultura indigena ritenuta ancora arretrata e basata su rapporti di produzione legati ad un passato precapitalistico. In questo modo all’interno della nuova organizzazione politica e sociale che sarebbe dovuta emergere dalla rivoluzione, gli indigeni si sarebbero nuovamente ritrovati in una condizione di sottomissione e oppressione e presentandosi ancora una volta come attori passivi delle decisioni non prese da loro stessi ma dal gruppo dirigente rivoluzionario che avrebbe preso il potere, ovvero dall’avanguardia rivoluzionaria.

Ed è proprio questo ultimo passaggio che sottolinea l’enorme distanza tra l’esempio zapatista e quello guatemalteco per quanto riguarda il connubio “questione indigena – guerriglia rivoluzionaria”; infatti dove i primi credono nel principio dell’ “arrendersi alla comunità”, ovvero la rivoluzione sottomessa alle esigenze delle comunità indigene alle quali i guerriglieri obbediscono, per le forze guerrigliere guatemalteche accade il contrario, ovvero le comunità indigene sottoposte alle decisioni prese dall’avanguardia rivoluzionaria incarnata dalla classe operaia. Questo perchè i rivoluzionari guatemaltechi credono che debba essere l’avanguardia rivoluzionaria a determinare il destino degli indigeni, visti ancora una volta come soggetti passivi, assegnando loro il posto che devono prendere nella rivoluzione.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.