Sand Creek e Wounded Knee – Storia di Due Massacri

Sand Creek e Wounded Knee – Storia di Due Massacri

“Quando il sole alzò la testa tra’ le spalle della notte, c’erano solo cani e fumo e tende capovolte, tirai una freccia in cielo per farlo respirare, tirai una freccia al vento per farlo sanguinare” (Fabrizio De Andrè – Fiume Sand Creek)

Ieri, 12 ottobre, nel 1492 venne “scoperto” il continente americano da parte di Cristoforo Colombo, scoperta che diede inizio al processo di invasione, conquista e sterminio delle popolazioni indigene per mano delle potenze imperiali europee prima e dal governo statunitense poi. All’interno della storia del continente americano si perde il conto delle innumerevoli violenze perpetuate dall’uomo bianco ai danni delle popolazioni native, ma con questo articolo voglio soffermarmi sopratutto su due avvenimenti che (a parer mio) possono spiegare al meglio le nefandezze dell’esercito statunitense ai danni delle tribù native del Nord America: Il massacro di Sand Creek e quello di Wounded Knee.

Il massacro di Sand Creek (29 novembre del 1864) è passato alla storia come uno degli attacchi più insensati avvenuti nel corso delle cosi dette “guerre indiane” e continua a sollevare perplessità ed indignazione. Questo massacro fu guidato dal colonnello John Chivington che ordinò ai sui Volontari del Colorado di attaccare un villaggio di Cheyenne e Arapaho.

I rapporti tra i bianchi ed i Cheyenne in Colorado non erano certamente idilliaci prima dell’attacco mosso da Chivington, ma nonostante questa costante tensione, il 9 agosto del 1864 il capo Cheyenne Black Kettle consegnò all’agente degli Affari Indiani di Fort Lyon un messaggio con il quale si dimostrava disposto a raggiungere un accordo di pace. L’uomo bianco però, non fidandosi della sincerità delle parole di Black Kettle, prese in ostaggio tre Cheyenne ed un Arapaho e inviò il maggiore E.W.Wynkoop a verificare la sincerità del capo. Nel frattempo il governatore del Colorado John Evans esigeva la completa sottomissione dei Cheyenne minacciando, altrimenti, di intraprendere una guerra contro di essi. Dopo l’incontro tra Black Kettle e Chivington come d’accordo i Cheyenne rilasciarono i quattro bianchi che tenevano prigionieri, cosa che invece non avvenne per i prigionieri indiani di Fort Lyon.

Due mesi dopo questi fatti, il colonnello Chivington una mattina al comando di due compagnie di soldati si mise in marcia verso il villaggio di Black Kettle sulle sponde del fiume Sand Creek; il 29 novembre arrivò dinanzi al villaggio e alle prime luci dell’alba ordinò ai suoi soldati di aprire il fuoco che iniziarono a sterminare donne, anziani e bambini. Capo Black Kettle a questo punto iniziò ad avanzare verso i soldati tenendo tra le mani sia la bandiera americana sia un drappo bianco simbolo di resa, ma fu tutto inutile; infatti i soldati sotto comando di Chivington scaricarono sul corpo di Black Kettle le loro armi, che eroicamente sopravvisse e invocò la ritirata. Ritirata alla quale si oppose però White Antilope, un anziano capo Cheyenne, che si immolò dinanzi ai fucili dei soldati intonando un canto di morte. Nel Massacro di Sand Creek rimasero sul terreno circa centocinquanta tra Cheyenne e Arapaho.

Sand Creek fu quindi teatro di scene nefaste e atroci perpetuate dagli uomini bianchi ai danni dei cadaveri dei nativi: le donne furono squartate, i guerrieri scotennati e i bambini ebbero le teste frantumate a colpi di pietra. Questo comportamento entra in collisione con l’idea di civiltà perpetuata dallo stesso uomo bianco che si fa portatore di valori positivi da contrapporre a quelli negativi dell’uomo selvaggio nativo.

Sempre il 29 ma questa volta del dicembre 1890 si verificò quello che da molti storici viene considerato non solo come l’avvenimento che segnò la fine delle principali guerre indiane, ma sopratutto l’avvenimento sul quale tutti sono concordi nel definire “massacro”. Sto ovviamente parlando del tristemente noto Massacro di Wounded Knee.

Facciamo però un passo indietro così da presentare meglio il contesto e gli avvenimenti antecedenti al massacro di Wounded Knee. Successivamente alla famosa battaglia di Little Big Horn, che viene ricordata come la principale disfatta dell’esercito americano, il quale subì una pesante sconfitta da parte dei Sioux e dei Cheyenne, Sitting Bull si recò in cerca di rifugio in Canada dove rimase fino al 1881, anno nel quale accettò la proposta del governo americano e decise di recarsi a Fort Budford. Sitting Bull però venne fatto prigioniero dai soldati statunitensi e fu confinato nella riserva di Standing Rock nel Dakota.

Nel frattempo a Standing Rock, un indiano Paiute di nome Wowoka inventò la Ghost Dance, danza attraverso la quale si fece portatore di un messaggio di ribellione contro l’uomo bianco e che veniva eseguita in segreto nella riserva. Wowoka sosteneva che compiendo la Ghost Dance per invocare il Grande Spirito i nativi prigionieri nelle riserve avrebbero ritrovato la libertà e le loro terre. Questo movimento promosso da Wowoka si sparse velocemente tra i nativi tenuti prigionieri nelle riserve tanto che Sitting Bull ne approfittò per far emergere un vasto movimento di rivolta al quale si unirono i Sioux Dakotas. Il 15 dicembre del 1890 però Sitting Bull venne assassinato da un agente della polizia indiana noto come Red Tomahawk e i suoi guerrieri e compagni, che si unirono ai Minniconjoux di capo Big Foot, decisero quindi di arrendersi al generale James Forsyth, presentandosi il 29 dicembre a Wounded Knee. A questo punto, nella riserva di Pine Ridge, i soldati statunitensi per la maggior parte ubriachi misero in atto un massacro deplorevole ai danni dei nativi Minniconjoux disarmati che decisero di arrendersi pacificamente.

Sand Creek e Wounded Knee furono due degli atti più odiosi compiuti dall’esercito americano ai danni dei nativi e sono l’esempio migliore, per chi se lo fosse dimenticato, delle violenze perpetuate dall’uomo bianco ai danni delle popolazioni indigene dal momento della “scoperta” dell’America e che in parte continuano ancora oggi, essendo la conseguenza inevitabile dell’espansionismo, del colonialismo e dell’imperialismo delle potenze europee-occidentali mosse dalla volontà sterminatrice di imporre la propria egemonia culturale, politica ed economica alle popolazioni indigene native.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.