Perché NULMAL?

Perché NULMAL?

Come il vento e i tramonti, la natura selvaggia è stata sempre data per scontata, finché il progresso non ha iniziato la sua opera di devastazione. Oggi ci troviamo posti di fronte alla questione se un più elevato “tenore di vita” possa compensare la scomparsa di tutto ciò che è naturale, libero e selvaggio.

Aldo Leopold, Pensare come una montagna

Con il termine Nulmal i Kwakiutl, popolo stanziato sulla costa settentrionale del Pacifico, identificavano il “danzatore folle”, una figura fondamentale all’interno della loro ritualità e per il funzionamento della vita sociale della comunità. Uno dei primi antropologi ad imbattersi nella figura del “danzatore folle” fu Franz Boas, il quale intorno al 1893-94 potè assistere alle cerimonie invernali che caratterizzavano il periodo rituale tra i Kwakiutl; questo periodo rituale chiamato tseka rappresentava un vero e proprio momento di trasformazione della società e della quotidiana vita comunitaria. Difatti tra i Kwakiutl, così come tra le sei nazioni che compongono la Confederazione degli Irochesi (Haudenosaunee), era diffusa la credenza che durante il periodo invernale gli spiriti si avvicinassero ai villaggi degli uomini rendendo di fatto labile ed effimero il confine tra mondo umano e mondo invisibile. Tra questi esseri spirituali misteriosi troviamo gli atlasemk, ossia coloro che iniziavano il nulmal, il “danzatore folle” che ritornava al villaggio dopo un periodo trascorso nel profondo della foresta (mondo degli spiriti) in preda ad un comportamento fortemente anti-sociale e in stato di “follia” distruttiva. Questo comportamento che caratterizzava il nulmal si poneva in aperto e netto contrasto con i valori e le norme sociali accettate e che regolano la vita comunitaria ordinaria. Tra i Kwakiutl, così come anche tra gli Irochesi (Haudenosaunee) attraverso le figure delle False Facce, gli spiriti, incarnati dal Nulmal attraverso maschere grottesche e spaventose, giungevano dal mondo selvaggio della foresta per prendere possesso del mondo dei vivi, invadendo il villaggio e le abitazioni creando scompiglio alla ricerca di doni e offerte.

Il periodo invernale per le popolazioni native stanziate sulla Costa nord-ovest del Pacifico, così come quelle che abitavano la regione dei Grandi Laghi, imponeva la temporanea sospensione delle attività di caccia e pesca e quelle di produzione agricola. Questo periodo dell’anno sembrava quindi costituire il momento adatto per mettere in atto pratiche di interruzione momentanea dell’ordine sociale. Figure come il danzatore folle incarnavano proprio questa irruzione del disordine nel mondo umano e la temporanea frattura dell’ordinario funzionamento della vita sociale.

Quindi, proprio come un danzatore folle dei Kwakiutl, portatore di creatività attraverso la sua azione distruttrice volta ad attaccare norme e valori dominanti e a destabilizzare il normale funzionamento dell’ordine sociale, ritengo che una critica radicale all’esistente debba avere lo stesso ruolo, ossia offrire nuove possibilità di sguardi e interpretazioni su quello che accade attorno a noi, convinto dell’importanza del disordine, della creatività, dell’impeto distruttivo e della sovversione di tutto ciò che si presenta come naturale, giusto, immutabile e dominante ai tempi della società della merce e dell’autorità.

Nulmal rinasce con l’intento e la tensione di essere una rivista selvatica in cui si parlerà delle varie forme della selvatichezza e di non addomesticamento; di donne e uomini, bambini e bambine, persone, animali umani e non umani liberi e selvaggi; di ecologismo radicale, di critica alla civilizzazione e alle sue strutture portanti da una posizione anarchica, di chi resiste, si rivolta e lotta per una vita radicalmente diversa, lontana dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sugli animali non umani e sulla natura. Ma anche e semplicemente di boschi e sottoboschi, di montagne e terre alte, delle culture e delle storie che riguardano questi ambienti e questi luoghi. Una rivista selvatica che si posiziona sui margini, alla ricerca di percorsi inesplorati e di sentieri non battuti da percorrere senza nessuna certezza; perché solo una rottura dell’ordine costituito può far intravedere la possibilità di sperimentare modi di vivere diversificati.