I bambini non hanno bisogno di più scuola. Hanno bisogno di meno scuola e più libertà. Hanno bisogno, anche, di ambienti dove giocare ed esplorare in sicurezza, e hanno bisogno di libero accesso agli strumenti, alle idee e alle persone in grado di aiutarli a percorrere la strada che si sono scelti.
“Lasciateli Giocare”, di Peter Gray
Credo sia difficile per tutti e tutte noi ricordarsi dell’ultima volta che da bambini o da ragazzi abbiamo giocato spontaneamente e liberamente, poichè crescendo abbiamo lasciato che il nostro tempo fosse occupato da cose considerate socialmente, da altri, più importanti e produttive: dalla scuola, dalle attività extrascolastiche, dal lavoro e da tutti quegli impegni quotidiani ritenuti “da persone adulte”, responsabili, mature. Chi occupa il tempo giocando invece di fare qualcosa di produttivo infatti viene definito spesso attraverso aggettivi come infantile, immaturo o irresponsabile; questo perchè, fondamentalmente, la dimensione del gioco rappresenta l’antitesi del lavoro e della logica produttivista, perchè nel gioco libero e autonomo non c’è spazio per l’alienazione dei propri desideri e della propria personalità. In realtà il gioco è un’attività molto più seria e complessa di quanto siamo portati a pensare, tutt’altro che frivola o inutile. Il gioco è infatti essenziale per ogni tipo di apprendimento e sostiene lo sviluppo olistico dei bambini: sociale, fisico, intellettuale, linguistico, creativo, emotivo e spirituale. E quando si sostiene lo sviluppo olistico, si sta alimentando anche il benessere.
Per fortuna ricordo ancora con gioia alcuni momenti di gioco libero, spontaneo e senza adulti che ho vissuto da bambino e da ragazzo, specialmente quelli a contatto con l’ambiente naturale come il giardino della mia scuola elementare o il pratone davanti alla casa dei miei nonni. Sono sempre stato attirato dal “fuori”, da questi luoghi che nella mia mente da bambino e ragazzo erano qualcosa di selvatico (nell’accezione di “non estremamente antropizzato”) da esplorare, osservare e attraversare con tutti i sensi, non solo scenari prediletti per i miei giochi preferiti: “giocare agli indiani d’america”, costruire capanne, bivacchi e rifugi sgangherati, addentrarsi in cespugli o nella pianta di fico della scuola che sembrava un labirinto, giocare a nascondino, fare partite di calcio senza fine o ancora semplicemente arrampicarmi su un albero.
Tante di queste attività in età post-adolescenziale le ho abbandonate, lasciando spazio a quegli impegni e obiettivi a cui la società contemporanea ci socializza fin da piccoli, considerandoli come primari e fondamentali, come lo studio universitario o la ricerca di un lavoro. In una profonda parte di me però l’idea del gioco spontaneo, libero, all’aperto e senza scopi produttivi o di consumo (come vorrebbe invece la mentalità economica dominante) non si è mai spenta e anzi ha continuato a manifestarsi saltuariamente tramite arrampicate sugli alberi in età adolescenziale, con la costruzione di capanne e rifugi insieme ai bambini e alle bambine con cui ho la fortuna di lavorare o semplicemente nel vivermi escursioni e camminate in natura come attività ludiche di esplorazione e immaginazione senza limiti. Anche solo raccogliere un ramo nel bosco mentre cammino assume ancora oggi un significato profondamente ludico, trasformando quel bastone negli oggetti più disparati: dalla lancia di un uomo paleolitico al bastone rituale di uno sciamano, passando per il fucile di un cacciatore di frontiera.
Il ruolo del gioco per bambine e bambini è fondamentale perchè rappresenta la forma primaria di apprendimento, il mezzo attraverso il quale le piccole persone indagano, esplorano e danno un senso al mondo che le circonda. E’ infatti attraverso il gioco spontaneo e mosso esclusivamente dalla mia motivazione intrinseca che mi sono potuto avvicinare a tutta una serie di conoscenze e abilità che ancora oggi fanno parte del mio bagaglio di apprendimenti che porto nel mondo. Possiamo, e dobbiamo, pensare al gioco come al desiderio realizzato, alla negazione del dominio in ogni sua manifestazione. E’ solamente attraverso il gioco spontaneo, autorganizzato e autodiretto che i bambini e le bambine potranno acquisire quelle capacità sociali ed emotive che gli serviranno da adulti, dall’ascolto degli altri alla gestione delle proprie emozioni e degli stati d’animo degli altri, dal pensiero creativo alla capacità di utilizzare l’immaginazione per affrontare un mondo in continua trasformazione e che presenta sfide sempre più urgenti come per esempio il cambiamento climatico.
Il gioco spontaneo dev’essere quindi visto come la base principale dell’apprendimento, poichè ogni attività ludica è mossa dalla motivazione intriseca e non dall’esterno, mettendo sempre al primo posto il proprio interesse, le proprie sensazioni e la propria ricerca. Il gioco inoltre, come sostenuto da Peter Gray, è una necessità biologica dell’essere umano e degli animali non umani, poichè rappresenta il mezzo primario per apprendere le norme, gli atteggiamenti e i comportamenti del proprio gruppo o comunità di appartenenza; riproducendo attraverso il gioco sociodrammatico attività e dinamiche del mondo degli adulti, i bambini e le bambine apprendono come essere parte della propria comunità di riferimento una volta che saranno grandi.
Proprio utilizzando le parole di Gray si può e si deve dunque parlare di un deficit del gioco spontaneo e sottolineare che togliendo ai bambini e le bambine sempre più spazi, tempi e luoghi per giocare stiamo commettendo una violenza, un vero e proprio affronto nei loro confronti. Parlare di tutti questi temi è importante per continuare a riflettere sull’importanza del gioco come fonte primaria di apprendimento e per contrastare la tendenza al controllo, alla pressione e al successo che la nostra cultura educativa, scolastica e famigliare, esercita sulle bambine e sui bambini. Perchè in fondo, i bambini e le bambine per crescere e imparare, hanno bisogno di più gioco spontaneo e meno scuola.
E se non vi è mai capitato, presi come siamo dalla frenesia e dai ritmi forsennati della vita quotidiana e della nostra società votata alla produzione, fermatevi un momento, fate un bel respiro e provate a chiedervi: quando ho smesso di giocare? Le risposte vi sorprenderanno. E da li potrete aprire il famoso vaso di pandora per ripensare a trecentosessanta gradi ai bambini, all’apprendimento, alla motivazione intrinseca e al gioco in tutte le sue manifestazioni.