Addomesticamento: il colpevole di una persistente e fallimentare resistenza della sinistra

Addomesticamento: il colpevole di una persistente e fallimentare resistenza della sinistra

– Inselvatichirsi è l’antitesi. Potrà esser adeguato soltanto un ritorno al selvatico verso comunità autonome e non tecnologiche –

Lo scritto che vi presento oggi fa parte di un più ampio testo scritto da Four Legged Human e pubblicato con il titolo di Il vento ruggisce con furore, basi e necessità per una resistenza selvaggia. In italiano l’intero pamphlet è arrivato grazie alla traduzione di Hirundo con l’aggiunta di un altro scritto dello stesso autore intitolato Alla volta di un futuro selvatico.

Perchè la decisione di pubblicare e condividere questo estratto? Sicuramente perché si tratta di uno dei testi e delle letture che in maniera migliore hanno intercettato le mie tensioni anarchiche e radicalmente critiche nei confronti della civilizzazione e di una certa postura della sinistra militantista nel corso degli anni. E’ altrettanto chiara la mia volontà di continuare a parlare su queste, aimè, virtuali pagine del tema dell’addomesticamento e dell’inselvatichimento, che ritengo fondamentali per ripensare ad un possibile critica teorica e pratica dell’attuale sistema economico capitalista, delle sue logiche tecnologiche e industriali e della distruzione ambientale che ne consegue. Per riconoscere che il nostro addomesticamento è una condizione di alienazione di massa tanto mentale quanto fisica, un allontanamento estremo dalla nostra animalità e dalla nostra relazione con il mondo naturale; per riconoscere che l’addomesticamento è possibile solo con la dipendenza dal potere gerarchico, dalle autorità, dal sistema capitalistico e dall’industrialismo tecnologico. Perchè, prendendo in prestito le parole stesse di Hirundo “inselvatichirsi non è solo un tentativo di fuggire nei boschi per vivere spensieratamente, fa parte di quella lotta al Leviatano che molte persone o almeno alcune, vogliono perseguire per costruire le fondamenta senza le quali sarà difficile pensare di poter vivere e cercare al tempo stesso di sbarazzarsene“. Inselvatichirsi quindi come arma contro la deriva tecno-industrialista del capitalismo odierno e della devastazione e del saccheggio ecologico che lascia dietro la sua famelica corsa al profitto. Con la speranza che questo testo possa darvi spunti di riflessione ma anche far sorgere critiche utili ad una discussione e un’analisi più ampia, vi auguro una buona lettura!

La sensazione del trauma è svanita a partire dal XX secolo. La gente riesce ancora a rimanere stupefatta dalle innovazioni individuali, come la macchine a motore o le lampadine elettriche. Ma non sono più traumatizzate da una società costruita sulla competizione, la puntualità e l’avidità. La società capitalista era tutto ciò che la gente conosceva. Le sue modalità di comportamento caratteristiche sembravano rappresentare la “natura umana”. La gente non si accorgeva più di quanto i loro comportamenti sarebbero potuti sembrare bizzarri ai loro antenati.

A people’s History of the World

Ho sprecato troppo tempo spinto da vergogna e senso di colpa. So chi sono i miei nemici… non sono gli sbirri, né i federali, né il presidente o gli amministratori delegati e con questo non voglio dire che non li spingerei volentieri giù dal precipizio. Il mio nemico è la civiltà e la follia collettiva che ne deriva. Il mio nemico è l’addomesticamento.

Fire and Ice

La grande maggioranza di noi sembra, ad ogni modo, ben contenta di portar avanti il processo di addomesticamento. Quelli che lo mettono in discussione sono spesso etichettati come radicali e gli attivisti di ogni sorta sembrano avere difficoltà nel riuscire ad accettare il fatto che, quando si compara la maggior parte della storia umana vissuta allo stato selvatico, è l’addomesticamento che risulta “bizzarro” e “radicale”. Tuttavia, la lunga storia dei tentativi fallimentari di resistenza e di difesa della totalità, il fatto di non esser riusciti a cambiare la nostra condizione in modo decisivo, è il risultato che deriva in larga misura dal vivere in uno stato di addomesticamento sia fisico che psicologico.

La storia del mondo, sin dall’inizio della civiltà, può essere caratterizzata in egual misura come un continuo stato di schiavitù e una continua lotta di classe contro il furto di risorse e contro il potere gerarchico, cosa che, nel corso del tempo, nessuna entità è mai riuscita a rovesciare. In nessun luogo del pianeta oggi giorno si può dire che non esista la totalità. La sua traiettoria generale a lungo termine continua a propagarsi quotidianamente in larga parte perchè il nostro addomesticamento deve far i conti con una dipendenza fisica e psicologica. La storia del mondo ci mostra che il mantenimento della totalità richiede che la gente comune sia continuamente raggirata allo scopo di diventare dipendente da proprietari terrieri, commercianti di successo, elite religiose e dallo Stato. Oltretutto il ruolo della classe media, incluse quelle persone che si definiscono anticapitaliste e quelle dell’ambientalismo di sinistra, sono state fondamentali al fine di mantenere l’addomesticamento sotto la forma di uno stile di vita privilegiato associato a progresso, industria e in generale all’espansione tecnoindustriale. Gli umani civilizzati, sia di sinistra che di destra, hanno fatto più o meno di tutto per mantenere il loro addomesticamento.

L’addomesticamento è un processo così immenso e potente che ha tenuto miliardi di umani timorosi e schiavizzati attraverso il corso della storia conosciuta. Anche le persone native, locali e organizzate su piccola scala, non sono esenti da questo processo in quanto si sono spesso dimostrate ingenue nei loro desideri nei confronti del benessere. Su qualsiasi scala culturale, il benessere è sempre stato generato da, e spesso incline a, masse di cittadini comuni al servizio di un elite. Essenzialmente, depravato e senza vergogna, il capitalismo inganna le masse ad avere un bisogno reificato verso un prodotto o un servizio che può essere estratto o prodotto da parte di un gruppo e rivenduto ad un altro gruppo attraverso scambi commerciali, e in tutto questo chi ne trae beneficio sono le classi commerciali e dei proprietari. Una volta ottenuti i loro privilegi e i loro profitti, i benefattori hanno sempre visto come prioritario il loro mantenimento; non importa quanto siano compassionevoli, premurosi e progressisti, ogni volta che sono stati messi al muro hanno scelto di stare dalla parte dell’addomesticamento.

Un’analisi delle grandi rivolte contro la tirannia nel corso della storia ci rivela da una parte movimenti che sono stati schiacciati da altri più potenti, e dall’altra altri vittoriosi che hanno promesso una nuova società riproducendone semplicemente tutte le tendenze distruttive e le oppressioni della civiltà. Questa tendenza continuerà, non importa quanto duramente lottino i resistenti, fintanto che il benessere e il potere delle elite addomestricatrici degli archietti del sistema dipenderanno interamente dalla nostra diretta partecipazione compulsiva al gioco della schiavitù salariale, della produzione, della mercificazione, del mercantilismo e della tecnologia.

Quando si parla di una rottura autentica di questo schema e quindi del farla finita con il nostro addomesticamento, la posta in gioco è molto alta. La civiltà ha una lunga storia nell’utilizzo di maniere forti, tra cui la violenza della polizia e dei militari contro quelli che minacciano la costrizione di massa e il suo schema di addomesticamento. E da quando gli architetti del sistema e della produzione del surplus ci hanno convinto ad allontanarci e a non essere più dipendenti dall’immediatezza di risorse dello stato selvatico, le elite addomesticatrici hanno controllato il cibo anche se, di solito, con un diffuso stato di paranoia e vulnerabilità.

Avendo sviluppato, ai fini della sopravvivenza, una dipendenza quasi totale dalla produzione di massa di cereali, sia le elite che i cittadini comuni erano abbastanza consapevoli del fatto che un qualsiasi intoppo, sociale o ecologico, che avesse provocato un sostanziale fallimento del raccolto, avrebbe significato la fame. Per questa ragione i re feudali europei erano preoccupati costantemente dalle rivolte contadine o da ogni rifiuto dello sfruttamento da parte delle masse di semplici contadini; non solo il loro potere, ma anche le loro vite dipendevano dal fatto che i contadini stessero al loro gioco. Essi sfruttavano al meglio il fatto che le masse povere erano addomesticate, che non erano in grado di cavarsela da sole; incatenate ai campi, i re sfruttavano questo stato di schiavitù per reindirizzare ogni sentimento di disperazione, rabbia e rivolta. Per esempio, nella Costantinopoli del XII secolo, i governanti dell’Impero Bizantino avevano “paura di ogni classe emergente che aveva la produzione nelle proprie mani e che potesse dirottare il surplus nelle proprie tasche” ma trovavano rassicurante il fatto che “mancandogli una base indipendente, i poveri non potevano agire come una forza indipendente. Potevano causare brevi momenti caotici con la rivolta. Ma anche il loro rancore poteva essere manipolato facilmente… e utilizzato dalle forze aristocratiche”. Nel corso della storia gli aristocratici di livello medio, con la loro disperazione auto-imposta e costantemente terrorizzati da ogni agitazione che avrebbe potuto portare alla loro destituzione, hanno sempre tirato le redini del gioco.

Oltretutto la classe proprietaria progressista affinché nessun cambiamento radicale potesse indebolire la loro posizione nella scala sociale e quando il sistema avrebbe dovuto affrontare una qualche sorta di minaccia, ha sempre avuto la tendenza ad allearsi con le forze fasciste di destra.

L’emblema delle fantasie e delle psicosi della classe media progressista oggi largamente diffuse, è stata ben rappresentata dalla vigliaccheria dei leader della borghesia socialdemocratica tedesca prima della II guerra mondiale, dove la paura, oltre modo addomesticata, di un collasso economico ha contribuito in gran parte all’ascesa di Adolf Hitler. “Il Nazismo… era il prodotto di un capitalismo industriale già maturo. La classe dominante tedesca vedeva come unica soluzione per evitare una profonda crisi economica quella di affidare il potere politico ad un movimento totalitario basato su fantasie irrazionali di una classe media impazzita per la crisi”. Questo stato avanzato e confortevole di dipendenza della borghesia liberale all’ordine addomesticato, non gli mai permesso di pensare di poter mettere a rischio le proprie carriere, pur essendo, grazie alla loro educazione privilegiata, ben consapevoli dei problemi reali.

Come risultato del loro asservimento ai dettami della produzione e alle loro comodità personali dovute alla loro posizione all’interno della totalità, gli intellettuali della classe media, inclusi i professori universitari e gli impiegati statali di ogni tipo, anche se molto preoccupati da questi modelli della storia che si ripresentano, generalmente si sono sempre dimostrati più che favorevoli alle linee guida della totalità. Le radici della resa degli intellettuali di sinistra al postmodernismo contemporaneo vanno cercate interamente nel loro addomesticamento e nella paura di liberarsene. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che permettere alle forze passive e confortanti delle borghesie progressiste di fare da guida in qualsivoglia maniera significa una sconfitta certa per l’umanità e per il pianeta.

Per conto loro, le classi lavoratrici urbane più povere sono quasi egualmente nemiche dell’ecologia planetaria, dello stato selvatico e degli stili di vita indigeni autosufficienti. Dato che la classe operaia lotta per ottenere la propria fetta di torta, interiorizzando così, a priori, la lotta per la parità di reddito e di “giustizia economica”, ciò li pone nella posizione di volenterosi sfruttatori e decimatori sia degli ecosistemi che degli stili di vita non capitalisitici. E’ particolarmente disarmante assistere ad un numero sempre crescente di popoli indigeni che possiedono, rispetto ad ogni altra popolazione di questo pianeta, un legame più diretto con antenati liberi e selvaggi, buttare tutto ciò all’aria dichiarando allo stesso tempo fedeltà ad una cultura indigena come tentativo di separarsi da un’ideologia imperialista totale, una misura atta a dar loro conforto nella loro dissonanza cognitiva e disperazione psicologica generalizzata.

Ciò che sta diventando la forza guida trainante per gli addomesticati non è l’idea di fare marcia indietro dalla totalità e provare a ritornare a uno stile di vita sostenibile da un punto di vista sociale ed ecologico, ma la convinzione che grazie alla tecnologia e ad una differente coscienza sociale, avremo un futuro migliore. L’idealizzazione del progresso è sempre stata funzionale al pensiero della sinistra, “un giorno ci arriveremo, dobbiamo solamente tener duro e il sogno di un progresso per tutti diventerà realtà”. Come prodotto di tutto ciò, la fede totale nella scienza e nella ragione continua e nella maggior parte dei casi, più che arrivare ad accettare la realtà dell’addomesticamento umano, ci si aggrappa alla fede nel futuro come se ci fosse un dio che cammina avanti e indietro sul pavimento e, fissandoti e punzecchiandoti, canticchiasse passivamente “il futuro non può che essere migliore del presente; la modernità significa solo progresso”.

Nel suo complesso, l’idea di un movimento progressista verso un mondo giusto si è dimostrata un fallimento per tutti coloro che ci credevano, ma ha funzionato bene come ulteriore strumento per far accrescere con astuzia benessere e potere; dall’incubazione, molto lontana nel tempo, delle prime civiltà indigene fino ad oggi. Questa marcia in avanti ha dato origine a qualsiasi devastazione avvenuta, e per tanto, ogni movimento di resistenza reale deve prima di tutto e principalmente rigettare soluzione che hanno a che fare con il “progresso” in ogni sua forma e di ogni genere.

Nel corso della sua storia di alti e bassi degli ultimi millenni, l’impeto della resistenza, tendenzialmente di sinistra, si è ridestato in questa seconda decade del XXI secolo: Occupy, Black Lives Matter, Climate Change, antifracking, antioleodotti; tuttavia nessuno di questi movimenti è fondamentalmente differente, nello stile, dalla resistenza della sinistra dei secoli passati. Di fatto, come necessità di fronte alle più potenti forze di polizia paramilitari dello Stato di cui si abbia memoria, esse sono fondamentalmente più passive rispetto ad ogni più diretta rivoluzione armata di sinistra del passato. In sostanza, limitati dall’addomesticamento – dipendenza dalla filiera industriale, dalle comunicazione di massa e dall’assistenza sanitaria in mano alle multinazionali – nulla di quello che sta succedendo ora porterà noi o il pianeta al riparo dall’annichilimento da parte della totalità, fintanto che l’interesse principale di questo tipo di attivismo sarà lottare per essere parte eguale di questo sistema piuttosto che un appello, da parte dei sottomessi, a smettere volontariamente di mettere in pratica i loro ruoli in quanto produttori di surplus per gli addomesticatori. Col passare del tempo, le rivolte del XXI secolo continueranno e si espanderanno, ma come dimostrano i precedenti storici, movimenti di questo tipo saranno sempre cooptati fintanto che questi rivoltosi non sceglieranno di abbandonare il sistema industriale stesso e di sviluppare un nuovo mondo fatto di comunità concrete e autonome.

Dobbiamo loro la vita? Perchè continuare a produrre per loro? Cosa ci costringe? L’addomesticamento?

Cosa succederebbe invece se chi produce, piuttosto che lottare per un trattamento più egualitario, paghe giuste e migliori condizioni lavorative, smettesse di stare al gioco? E’ veramente una questione di sopravvivenza? O attualmente è una questione di dipendenze reificate nel tempo?

Uno dei capisaldi teorici degli intellettuali progressisti, che riguarda ovviamente i tempi bui che si apprestano a calare sulla civiltà moderna, si basa sull’idea che è il povero che continuerà a soffrire e sarà il ricco che prospererà e sopravviverà. Per tutte le classi che dipendono dall’apparato produttivo della macchina globale ciò diventerà sicuramente una realtà, anche se l’impotenza degli ultra addomesticati che ora possiedono lo stile di vita più privilegiato non dovrebbe essere sottovalutata.

Più si rafforza il legame con l’economia e con la cultura dominante e più aumenta il numero di persone private dei loro diritti, più le elite scopriranno la loro vulnerabilità. Senza dubbio, di fronte alla loro frenetica paranoia e avendo dalla loro sicari di polizia e militari la nostra sfida rimarrà estremamente ardua. Ma se al posto di rimanere schiavi della tecnologia e del capitale riuscissimo ad essere autonomi resistendo e attaccando al tempo stesso queste istituzioni che si presentano come inviolabili, potremo avere una qualche speranza.

Durante gli anni ‘30 del 1900, quando la borsa degli Stati Uniti crollò dando inizio alla Grande Depressione, le conseguenze si fecero sentire in tutto il mondo. Le banche statunitensi ed europee fallirono e la produzione industriale mondiale quasi si dimezzò, devastando i paesi del terzo mondo e i contadini di tutto il pianeta “le cui economie si erano adattate alla produzione di cibo e materie prime” per i mercati del mondo coloniale:

All’improvviso non esisteva più un mercato per la loro produzione. Alla gente che era entrata solo da poco tempo a far parte di questo mondo di denaro gliene fu negato l’accesso, e di nuovo si trovarono senza nessun altro mezzo di sostentamento… quelle persone che erano molto poco “avanzate” secondo i canoni capitalisti – agricoltori di sussistenza a malapena integrati nell’economia monetaria – riuscirono a sopravvivere meglio. Quelle che si basavano sulla vendita della loro forza lavoro non avevano nulla su cui fare affidamento.

Annullare la nostra dipendenza dalla vendita della nostra forza lavoro, qualsiasi cosa produciamo, è un elemento chiave e prerogativa della resistenza. L’esistenza nella civiltà significa vivere per trasformare tutta la complessità della vita in merce che arricchisce le elite ma che rende schiavi noi e rende schiava e annichilisce ogni forma di vita; è a questo che serve il vostro smartphone.

La storia della civiltà non è solamente quella della lotta di classe; in sostanza si tratta dell’indebolimento dell’autonomia comunitaria da parte di elite auto-addomesticate e, in molti casi, la rinuncia simultanea all’autonomia comunitaria da parte di persone comuni che si sono ritrovate in quella condizione, quella di desiderare la loro fetta di torta. Questa è la dialettica attuale; l’abbandono della nostra selvatichezza e della nostra libertà in cambio della dipendenza da bisogni e desideri artificiali rappresenta le forze avverse che ci annichiliscono nel tempo attraverso l’auto-addomesticamento. Come primo passo quelle persone che un tempo erano selvatiche e libere sono cadute preda della promessa di una vita più semplice grazie alla produzione di surplus; un’iniziale impulso umano innocente che infine si è trasformato nella rovina della nostra specia e dell’ecologia globale che ci sostiene.

Preso nell’insieme, e in un contesto temporale adeguato, il XXI secolo può essere descritto come un evento caratterizzato da una confusione sovrastante e dalla distruzione socio-ecologica conseguente alla continua espansione del capitalismo di massa, del colonialismo e della tecnologia industriale, con le masse che generalmente la fiancheggiano e/o si inventano soluzioni insostenibili come risultato del loro addomesticamento. Siamo oggi testimoni di questa psicologia arrivata al suo apice, ma la fiducia in essa è in declino e l’assurdità delle soluzioni proposte è evidente poichè il tempo e lo spazio per la loro implementazione si esauriscono velocemente.

Tutti gli sconvolgimenti portati dalle rivolte socialiste in Europa, Asia e America Latina sia durante il XIX che il XX secolo sono rappresentative di quel tentativo molto confuso di voler correggere ciò che è andato storto. Sia allora che ogggi le ideologie che sospingono i maggiori tentativi di resistenza hanno, al di fuori del contesto storico, antropologico, ecologico e psicologico, profondamente consolidato l’addomesticamento tanto che tutti questi sforzi di resistenza e rivolta si sono infranti senza i risultati desiderati contro un muro impenetrabile – miliardi di persone che sono tutte morte in miseria cercando la sicurezza nelle industrie, nella tecnologia, nel governo, nella forza militare, nell’agricoltura e nell’economia – in poche parole, nel cercare la sicurezza nell’addomesticamento.

L’unica speranza in avvenire è il selvatico, un ritorno dalla nostra cattività allo stato selvatico. I compromessi e le vie di mezzo resistenti del passato e del presente non ci hanno portato da nessuna parte se non spinti ulteriormente nella schiavitù e nella disperazione ecologica; e ulteriormente nell’addomesticamento. Inselvatichirsi è l’antitesi. Potrà esser adeguato soltanto un ritorno al selvatico verso comunità autonome e non tecnologiche. L’appello cruciale per le masse è di interrompere la produzione, smettere di commerciare, unire le proprie forze insieme alla terra e come comunità. Occupare fattorie e foreste, non le strade delle città: per crescere, trafugare, frugare, raccogliere e procurarsi ciò di cui abbiamo bisogno, iniziare a scardinare l’addomesticamento, smettere di stare al gioco.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.