Come i popoli cacciatori-raccoglitori hanno mantenuto il loro stile di vita egualitario (di Peter Gray)

Come i popoli cacciatori-raccoglitori hanno mantenuto il loro stile di vita egualitario (di Peter Gray)
Quando abbiamo smesso di giocare? Proprio qualche giorno fa questa domanda ha preso forma nella mia testa e mi ha portato ad iniziare una serie di riflessioni che ruotano attorno all’idea del gioco come antitesi del lavoro, della gerarchia e di ogni attività alienata da sè. Riflessioni che sicuramente risentono dell’influenza del testo “Lasciateli giocare” di Peter Gray, saggio la cui lettura fu fondamentale per me per dare maggiore forma e sostanza a delle idee in merito a gioco, educazione e apprendimento che hanno sempre trovato spontaneamente spazio nei miei ragionamenti e nei miei discorsi. La scelta di tradurre, pubblicare e proporvi questo articolo di Gray parte sia da quella domanda iniziale sia dal mio interesse antropologico nei confronti del funzionamento delle culture di cacciatori-raccoglitori che, senza scadere in facil quanto semplicisitiche romanticizziazioni potremmo definire senza troppi errori come società dell’uguaglianza, dell’abbondanza (per dirla con Marshall Sahlins) e del gioco. E se è vero che il gioco rappresenta il desiderio realizzato, allora non può che manifestare contemporaneamente la negazione del dominio.
Buona lettura!

È vero che le popolazioni di cacciatori-raccoglitori erano pacifiche ed egualitarie? La risposta è sì.

Se un solo antropologo avesse riportato questa notizia, potremmo pensare che si tratti di un romantico dagli occhi a cuoricino che vede cose che in realtà non ci sono, oppure che sia un bugiardo. Ma molti antropologi, di tutti gli schieramenti politici, che si occupano di diverse culture di cacciatori-raccoglitori, hanno raccontato la stessa storia comune. … Un antropologo dopo l’altro è rimasto stupito dal grado di uguaglianza, autonomia individuale, trattamento indulgente dei bambini, cooperazione e condivisione nella cultura dei popoli cacciatori-raccoglitori che ha studiato.

Nel corso del XX secolo, gli antropologi hanno scoperto e studiato decine di società di cacciatori-raccoglitori diverse, in varie parti remote del mondo, che erano rimaste quasi intatte dalle influenze moderne. Ovunque si trovassero – in Africa, Asia, Sud America o altrove, nei deserti o nelle giungle – queste società avevano molte caratteristiche in comune. Le popolazioni vivevano in piccole bande, composte da circa 20-50 persone (compresi i bambini), che si spostavano da un accampamento all’altro in un’area relativamente circoscritta per seguire la selvaggina disponibile e la vegetazione commestibile. La popolazione aveva amici e parenti nelle bande vicine e manteneva rapporti pacifici con queste ultime. La guerra era sconosciuta alla maggior parte di queste società e, quando era conosciuta, era il risultato di interazioni con gruppi bellicosi di persone che non erano cacciatori-raccoglitori. In ognuna di queste società, l’etica culturale dominante era quella che enfatizzava l’autonomia individuale, i metodi di educazione non direttiva dei figli, la non violenza, la condivisione, la cooperazione e il processo decisionale consensuale. Il loro valore fondamentale, alla base di tutto il resto, era quello dell’uguaglianza degli individui.

Noi cittadini di una moderna democrazia affermiamo di credere nell’uguaglianza, ma il nostro senso di uguaglianza non si avvicina nemmeno a quello dei cacciatori-raccoglitori. La concezione di uguaglianza dei cacciatori-raccoglitori prevedeva che ogni persona avesse egualmente diritto al cibo, indipendentemente dalla sua capacità di trovarlo o di catturarlo; quindi il cibo era condiviso. Significava che nessuno aveva più ricchezza di un altro, quindi tutti i beni materiali erano condivisi. Significava che nessuno aveva il diritto di dire agli altri cosa fare, quindi ognuno prendeva le proprie decisioni. Significava che nemmeno i genitori avevano il diritto di dare ordini ai figli. Significava che le decisioni del gruppo dovevano essere prese per consenso; quindi non c’era un padrone, un “grande uomo” o un capo.

Se un solo antropologo avesse riferito tutto questo, avremmo potuto pensare che fosse un romantico dagli occhi a cuoricino che vedeva cose che in realtà non c’erano, oppure che fosse un bugiardo. Ma molti antropologi, di ogni schieramento politico, che si occupano di culture di cacciatori-raccoglitori diverse, hanno raccontato la stessa storia a livello generale. Ci sono alcune differenze da cultura a cultura, naturalmente, e non tutte le culture sono pacifiche e pienamente egualitarie come altre, ma le linee generali sono le stesse. Un antropologo dopo l’altro è rimasto stupito dal grado di uguaglianza, autonomia individuale, trattamento indulgente dei bambini, cooperazione e condivisione nella cultura dei cacciatori-raccoglitori che ha studiato. Quando si legge di “tribù primitive bellicose”, o di popolazioni indigene che tenevano schiavi, o di culture tribali con gravi disuguaglianze tra uomini e donne, non si sta leggendo di gruppi di cacciatori-raccoglitori.

Ancora oggi alcune persone che dovrebbero conoscere la differenza, confondono le società agricole primitive con le società di cacciatori-raccoglitori e sostengono, sulla base di queste prove ingannevoli, che i popoli cacciatori-raccoglitori erano violenti e bellicosi. Ad esempio, una società a cui si fa spesso riferimento in questo modo errato è quella degli Yanomami, dell’Amazzonia sudamericana, resa famosa da Napoleon Chagnon nel suo libro sottotitolato “Il popolo feroce”. Chagnon ha cercato di ritrarre gli Yanomami come rappresentanti dei nostri antenati pre-agricoli. Ma Chagnon sapeva bene che gli Yanomami non erano cacciatori-raccoglitori e non lo erano più da secoli. Si dedicavano alla caccia e alla raccolta, ma ricavavano la maggior parte delle calorie da banane e platani, che piantavano, coltivavano e raccoglievano. Inoltre, lungi dall’essere incontaminate dalle culture moderne, queste popolazioni erano state ripetutamente sottoposte a razzie di schiavi e genocidi per mano di invasori spagnoli, olandesi e portoghesi realmente feroci.[1] Non c’è da stupirsi che fossero diventate un po’ “feroci” anche loro.

Lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori, a differenza di quello agricolo che lo ha seguito, sembra dipendere da un’intensa cooperazione e condivisione, sostenuta da una forte etica egualitaria; quindi, i cacciatori-raccoglitori hanno trovato ovunque il modo di mantenere una forte etica egualitaria. Torniamo ora alla domanda principale di questo articolo. Come hanno fatto i cacciatori-raccoglitori a mantenere i loro modi egualitari? Ecco le tre teorie, che ritengo complementari tra loro e sostanzialmente corrette.

Teoria 1: i cacciatori-raccoglitori praticavano un sistema di “dominio inverso” che impediva a chiunque di assumere potere sugli altri.

Gli studi degli antropologi chiariscono che le popolazioni di cacciatori-raccoglitori non erano egualitarie in modo passivo, ma in maniera attiva. Anzi, secondo le parole dell’antropologo Richard Lee, erano ferocemente egualitarie[2]. Non tolleravano che qualcuno si vantasse, si desse delle arie o cercasse di imporsi sugli altri. La loro prima linea di difesa era la derisione. Se qualcuno, soprattutto se giovane, cercava di comportarsi meglio degli altri o non mostrava la giusta umiltà nella vita quotidiana, il resto del gruppo, in particolare gli anziani, lo prendeva in giro finché non dimostrava di avere la giusta umiltà.

Una pratica regolare del gruppo studiato da Lee era quella di “insultare la carne”. Ogni volta che un cacciatore riportava un’antilope grassa o un altro capo di selvaggina pregiata da condividere con la banda, doveva esprimere il giusto grado di umiltà parlando di quanto fosse magra e inutile. Se non ci riusciva (cosa che accadeva raramente), gli altri lo facevano al posto suo e lo prendevano in giro. Quando Lee chiese a uno degli anziani del gruppo informazioni su questa pratica, la risposta che ricevette fu la seguente: “Quando un giovane uccide molta carne, arriva a pensare a se stesso come a un grande uomo e a considerare il resto di noi come suoi inferiori. Non possiamo accettarlo. Rifiutiamo chi si vanta, perché un giorno il suo orgoglio gli farà uccidere qualcuno. Perciò parliamo sempre della sua carne come se non valesse nulla. In questo modo raffreddiamo il suo cuore e lo rendiamo gentile”.

Sulla base di queste osservazioni, Christopher Boehm ha proposto la teoria secondo cui i cacciatori-raccoglitori mantenevano l’uguaglianza attraverso una pratica che ha definito “dominio inverso”. In una gerarchia di dominio standard – come si può vedere in tutti i nostri parenti scimmie (sì, anche nei bonobo) – pochi individui hanno il dominio su molti. In un sistema di dominio inverso, invece, i molti agiscono di comune accordo per sgonfiare l’ego di chiunque tenti, anche solo in modo incipiente, di dominarli.

Secondo Boehm, i cacciatori-raccoglitori sono sempre attenti ai comportamenti contrari all’etica egualitaria. Chi si vanta, o non condivide, o sembra in qualche modo pensare di essere migliore degli altri (o di essere lei, anche se di solito si tratta di un lui) viene rimesso al suo posto attraverso la presa in giro, che cessa una volta che la persona smette di comportarsi in modo offensivo. Se le prese in giro non funzionano, il passo successivo è l’evitamento. Il gruppo si comporta come se la persona che si sta comportando in maniera contraria all’etica egualitaria non esistesse. Questo funziona quasi sempre. Immaginate cosa significhi essere completamente ignorati proprio dalle persone da cui dipende la vostra vita. Nessun essere umano può vivere a lungo da solo. La persona o si adegua, o si allontana e si unisce a un altro gruppo, dove è meglio che si comporti in maniera corretta o la stessa cosa si ripeterà. Nel suo libro del 1999, “Gerarchia nella foresta”, Boehm presenta prove molto convincenti della sua teoria del dominio inverso.

Teoria 2: i cacciatori-raccoglitori hanno mantenuto l’uguaglianza coltivando il lato ludico della loro natura umana, e il gioco promuove l’uguaglianza.

Questa è la mia teoria, che ho presentato due anni fa in un articolo sull’American Journal of Play.[3] In breve, la teoria è la seguente. I cacciatori-raccoglitori hanno mantenuto la loro etica egualitaria coltivando il lato ludico della loro natura umana.

Il gioco sociale, cioè il gioco che coinvolge più di un giocatore, è necessariamente egualitario. Richiede sempre una sospensione dell’aggressività e del dominio e una maggiore sensibilità ai bisogni e ai desideri degli altri giocatori. I giocatori possono riconoscere che un compagno di gioco è più bravo degli altri nell’attività praticata, ma questo riconoscimento non deve portare colui che è più bravo a comandare sugli altri.

Questo vale sia per il gioco tra gli animali che per quello tra gli esseri umani. Ad esempio, quando due giovani scimmie di taglia e forza diverse si impegnano in un gioco di lotta, la più forte si auto-limita intenzionalmente, evita azioni che potrebbero spaventare o ferire il compagno di gioco e invia ripetuti segnali di gioco che vengono intesi come segni di non aggressione. Questo è ciò che rende l’attività un gioco di combattimento anziché un combattimento vero e proprio. Se l’animale più forte non si comportasse in questo modo, quello più debole si sentirebbe minacciato e scapperebbe, e il gioco finirebbe. La tendenza a giocare, quindi, richiede la soppressione della pulsione a dominare.

La mia teoria, quindi, è che le popolazioni di cacciatori-raccoglitori hanno soppresso la tendenza a dominare e hanno promosso la condivisione e la cooperazione egualitaria promuovendo volutamente un atteggiamento ludico in tutte le loro attività sociali. La nostra capacità di giocare, che abbiamo ereditato dai nostri antenati mammiferi, è la capacità naturale ed evoluta che meglio contrasta la nostra capacità di dominare, anch’essa ereditata dai nostri antenati mammiferi.

La mia teoria ludica dell’uguaglianza tra cacciatori e raccoglitori si basa in gran parte sull’evidenza, ricavata dall’analisi della letteratura antropologica, che il gioco permeava la vita sociale delle culture di caccia e raccolta, più di quanto non avvenga in tutte le culture post-cacciatori-raccoglitori conosciute e di lunga durata. Le loro attività di caccia e raccolta erano ludiche; le loro credenze e pratiche religiose erano ludiche; le loro pratiche di divisione della carne e di condivisione dei beni sia all’esterno che all’interno del gruppo erano ludiche; e persino i loro metodi più comuni di punizione dei trasgressori all’interno del gruppo (attraverso l’umorismo e la ridicolizzazione) avevano un elemento ludico.[3] Mescolando essenzialmente tutte le loro attività con il gioco, i cacciatori-raccoglitori mantenevano se stessi nel tipo di stato d’animo che più fortemente, per modello evolutivo, contrasta la spinta a dominare gli altri.

Teoria 3: i cacciatori-raccoglitori hanno mantenuto la loro etica di uguaglianza attraverso le pratiche di educazione dei figli, che hanno generato sentimenti di fiducia e approvazione in ogni nuova generazione.

Come ho spiegato in un articolo precedente, i cacciatori-raccoglitori adottavano uno stile di genitorialità che altri hanno definito “permissivo” o “indulgente”, ma che io preferisco chiamare “fiducioso”. Si fidavano dell’istinto dei neonati e dei bambini e quindi lasciavano che fossero loro a decidere, ad esempio, quando nutrirsi o meno e permettevano ai bambini di educarsi da soli attraverso il gioco e l’esplorazione auto-diretta. Non punivano fisicamente i bambini e li rimproveravano raramente. Una ricercatrice che ha suggerito come il comportamento morale dei cacciatori-raccoglitori derivi dall’educazione gentile dei bambini è Elizabeth Marshall Thomas, tra le prime a studiare gli Ju/’hoansi del deserto del Kalahari in Africa. Ecco cosa ha detto sull’educazione dei figli che ha osservato:

“I bambini Ju/’hoan piangevano molto raramente, probabilmente perché avevano poco da piangere. Nessun bambino veniva mai sgridato, schiaffeggiato o punito fisicamente, e pochi venivano anche solo rimproverati. La maggior parte non sentiva mai una parola di scoraggiamento fino a quando non si avvicinava all’adolescenza, e anche in quel caso il rimprovero, se era davvero un rimprovero, veniva pronunciato con voce sommessa. … A volte ci viene detto che i bambini trattati con tanta gentilezza diventano viziati, ma questo perché chi ha questa opinione non ha idea di quanto possano essere efficaci tali misure. Privi di frustrazione o ansia, solari e collaborativi, i bambini erano il sogno di ogni genitore. Nessuna cultura può aver cresciuto bambini migliori, più intelligenti, più simpatici, più sicuri di sé”[4].

Una stimata ricercatrice contemporanea che ha implicitamente, se non esplicitamente, sostenuto la teoria della genitorialità nello sviluppo morale da parte delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori è Darcia Narvaez, autrice del blog “Moral Landscapes”. È difficile dimostrare con prove empiriche che la genitorialità gentile e fiduciosa dei cacciatori-raccoglitori favorisca lo sviluppo di persone che si trattano con gentilezza e che rifuggono dall’aggressività, ma la teoria ha un senso intuitivo. È logico che i neonati e i bambini che si fidano e vengono trattati bene fin dall’inizio crescano fidandosi degli altri e trattandoli bene e sentano poco o nessun bisogno di dominare gli altri per soddisfare i propri bisogni.

La teoria dell’educazione dei bambini si sovrappone alla mia teoria del gioco, perché i cacciatori-raccoglitori permettevano ai loro bambini, compresi gli adolescenti, di giocare in pratica dall’alba al tramonto. I bambini sono cresciuti con la convinzione che la vita sia un gioco e hanno poi svolto sostanzialmente tutti i loro compiti da adulti in uno stato d’animo giocoso, che contrasta la spinta a dominare.

In sintesi, la mia tesi è che le lezioni che dobbiamo imparare dalle culture dei cacciatori-raccoglitori non riguardano la nostra genetica, ma la nostra cultura. La nostra specie ha chiaramente il potenziale genetico per essere pacifica ed egualitaria, da un lato, o bellicosa e dispotica, dall’altro, o qualsiasi cosa in mezzo. Se le tre teorie che ho descritto sono corrette e se crediamo veramente nei valori dell’uguaglianza e della pace e vogliamo che tornino a essere la norma per gli esseri umani, allora dobbiamo (a) trovare il modo di sgonfiare l’ego, anziché sostenerlo, degli individui dispotici, dei prepotenti e dei presuntuosi che sono tra noi; (b) rendere i nostri modi di vivere più giocosi; e (c) crescere i nostri figli in modo gentile e fiducioso.


[1] Salamone, F. A. (1997). The Yanomami and their interpreters: Fierce people or fierce interpreters? Lanham, Maryland: University Press of America.

[2] Lee, R. B. (1988). ‘Reflections on primitive communism’. In T. Ingold, D. Riches, & J. Woodburn (Eds), Hunters and gatherers 1, 252-268 Oxford: Berg.

[3] Gray, P. (2009). ‘Play as a foundation for hunter-gatherer social existence’. American Journal of Play, 1, 476-522.[4] Thomas, E. M. (2006). The old way. New York: Farrar, Straus & Giroux. p 198-199.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.

2 Risposte a “Come i popoli cacciatori-raccoglitori hanno mantenuto il loro stile di vita egualitario (di Peter Gray)”

  1. Ricordo un bellissimo libro autobiografico “Confessioni di un abitatore di igloo”, dove l’autore, che fra il 1948 e il 1963 condivise la sua vita con con gli esquimesi per lunghi periodi, racconta l’episodio del gioco del calcio : aveva portato in dono un pallone di calcio, e cercava di insegnare il gioco ai suoi amici eschimesi. Ma loro non rubavano la palla alla squadra avversaria, loro la passavano invece agli avversari, perchè il loro stile di vita è basato sul dono, e non sulla competizione. E ridevano contenti. Erano stati “educati” a condividere con il loro prossimo. E quanto erano contenti !

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