Comunità Libere, Autonome ed Autogestite nel Brasile dell’Epoca Coloniale

Comunità Libere, Autonome ed Autogestite nel Brasile dell’Epoca Coloniale

Una delle pagine più dolorose e disumane della storia dell’uomo è stata senza ombra di dubbio la tratta degli schiavi dal continente africano verso il “Nuovo Mondo”, evento logicamente coinciso e conseguente al primo periodo coloniale che ha interessato fortemente l’America Latina e tutto il continente americano nel suo complesso. Difatti è nel corso della colonizzazione forzata del centro-sud America che le potenze europee, Spagna e Portogallo su tutte, riversarono milioni e milioni di africani nelle nascenti piantagioni, nei campi e nei latifondi che prosperavano dalla Costa Rica all’estremo sud della Patagonia, per farli lavorare come schiavi anche grazie alla loro prestanza fisica e alla loro maggiore resistenza alle malattie dell’uomo bianco rispetto ai nativi amerindiani.

Nel corso dei decenni però iniziarono ad aumentare le ribellioni e le insurrezioni degli schiavi africani nei confronti delle autorità coloniali, ribellioni che spesso erano seguite da vere e proprie evasioni e fughe dai territori sotto dominio spagnolo o portoghese. E’ proprio in Brasile, il più grande territorio sotto controllo coloniale dei portoghesi, che queste ribellioni e fughe da parte degli schiavi africani si moltiplicarono e divennero sempre più forti a partire dal XVI secolo. Una volta fuggiti dai latifondi e dalle piantagioni di monocolture gli schiavi ribelli iniziarono così a creare insediamenti e comunità libere nelle profondità della foresta amazzonica e nella sua impenetrabile vegetazione. Queste comunità autonome ed autogestite presero il nome di quilombos e incarnarono un’importante forma di resistenza alla schiavitù messa in atto dagli schiavi africani che si erano ribellati al giogo della prigionia e dello sfruttamento dei latifondisti, dei grandi proprietari terrieri e delle autorità coloniali portoghesi.Tradizionalmente i quilombos venivano fondati nelle periferie delle regioni che contavano un’alta concentrazione di schiavi, lontani dai nascenti grandi centri urbani, così come dalle capitali dei distretti e delle regioni dell’amministrazione portoghese. Dall’essere inizialmente degli insediamenti liberi costruiti quasi esclusivamente da schiavi neri fuggiaschi, ben presto i quilombos divennero vere e proprie comunità autogestite e autonome che potevano contare su una popolazione estremamente eterogenea formata non solo da ex-schiavi, ma anche da emarginati, ribelli, ricercati e indios.

All’interno di questo tipo di comunità si potevano osservare dei tratti e dei caratteri fortemente libertari e comunisti. Difatti si può notare come fosse assolutamente inesistente ogni forma di proprietà privata sulla terra, la quale era di proprietà della comunità intera o il fatto che le varie comunità cercarono di abolire la circolazione del denaro. Inoltre un altro tratto che trovo sia di fondamentale importanza, sopratutto per il contesto storico in cui le numerose esperienze dei quilombos sono avvenute, è il fatto che all’interno di queste comunità i “rappresentanti politici”, o “capi”, venivano scelti tramite elezioni libere e avevano un ruolo prettamente simbolico che rispecchia in parte le tesi di Clastres in merito ai “capi senza potere”, ovvero coloro che hanno il compito di parlare a nome della comunità ma che al contempo non detengono nessun potere coercitivo per imporre la propria autorità e il proprio volere sulla società.

Il quilombo più importante e interessante, passato alla Storia per la formidabile lotta di resistenza che ha messo in atto nei confronti dei tentativi di soppressione violenta da parte dell’esercito coloniale portoghese, è certamente il Quilombo di Palmares, si dice fondato intorno al 1580 da una principessa africana resa schiava al termine di una fuga e di una ribellione che era riuscita ad organizzare appena sbarcata nel porto di Recife. Stanziato negli attuali stati dell’Alagoas e del Pernambuco, nelle regioni del nord-est del territorio brasiliano, il Quilombo di Palmares divenne nei primi anni del seicento meta della maggior parte degli schiavi di origine angolana che decidevano di ribellarsi e di scegliere la strada dell’evasione e della fuga dalle piantagioni dei grandi proprietari terrieri. Inoltre i pochi racconti che si possono trovare in merito all’esperienza e alla storia di questo particolare quilombo sostengono che nel periodo di maggior espansione la popolazione si aggirava intorno ai trenta mila individui. Si può quindi notare quale e quanta importanza rivestisse questa comunità libera, autogestita e autonoma sia agli occhi degli ex schiavi neri, sia a quelli delle autorità coloniali portoghesi che non potevano certamente accettare l’esistenza di simili focolai di ribellione e autonomia sparsi su tutto il territorio brasiliano, che sarebbero potuti diventare facilmente d’esempio per milioni di altri schiavi africani ancora costretti al lavoro forzato nei campi e nei possedimenti agricoli dei grandi latifondisti.

Già intorno al 1600 iniziarono quindi le spedizioni dei coloni e dell’esercito portoghese alla ricerca degli schiavi africani che fuggivano dalle fazendas per rifugiarsi nei quilombos. E’ sempre intorno ai primi del Seicento che avvenne un evento di fondamentale importanza per comprendere appieno quanto sarebbe accaduto alle varie comunità autonome di ex schiavi di lì a poco e al Quilombo di Palmares in particolare. Difatti è proprio in questo periodo che la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali decise di espandere i propri possedimenti commerciali e di ampliare le proprie rotte mercantili, inviando flotte alla conquista della regione del Pernambucano, ancora sotto dominio portoghese. Gli olandesi riuscirono ad invadere i territori a nord-ovest del Brasile e questo momento di destabilizzazione permise a molti schiavi africani ancora sfruttati nelle piantagioni e nei grandi latifondi di fuggire e rifugiarsi nel Quilombo de Palmares. Iniziarono quindi intorno agli anni ’40 del Seicento anche le missioni militari olandesi volte ad attaccare e reprimere la comunità ribelle di Palmares, senza però ottenere alcun successo. Intanto nel giro dei dieci anni successivi i portoghesi riuscirono a sconfiggere gli olandesi e a riprendere il controllo del nord-ovest del territorio brasiliano.

Arriviamo così al 1678, anno in cui il governatore della Capitania de Pernambuco, dinanzi all’evidenza dell’estrema difficoltà riscontrata nel reprimere il quilombo, nonchè avendo avuto riprova della tenacia e dell’ardore combattivo dei suoi abitanti, deciso di avanzare una proposta di pace e di instaurare delle trattative con il “capo-portavoce” di Palmares, Ganga Zumba. Il governatore del Pernambuco offrì a tutti gli schiavi africani la totale libertà a patto che il quilombo accettasse di perdere la propria autonomia politica assoggettandosi e riconoscendo l’autorità della corona portoghese. Zumbi, un giovane di Palmares che aveva avuto esperienza diretta del trattamento che i portoghesi riservavano ai neri ribelli essendo stato rapito all’età di 15 anni, si dimostrò presto diffidente e insofferente dinanzi alla proposta di sottomettersi all’autorità portoghese in cambio della libertà, anche perchè nei quilombos gli schiavi neri erano a tutti gli effetti uomini liberi. Il motivo principale però del malumore di Zumbi a tale proposta era un altro; difatti il giovane rigettava fortemente l’idea che fosse conferita la libertà ai neri di Palmares da parte dei portoghesi, quando questi ultimi avrebbero continuato a mantenere il regime della schiavitù in tutto il restante territorio brasiliano. In questo susseguirsi ravvicinato di eventi databili intorno al 1680, il giovane Zumbi, spodestando Ganga Zumba e assumendo la leadership politica e militare del quilombo di Palmares, promise di continuare la resistenza e la ribellione contro il dominio portoghese e lo schiavismo. Per mantener fede alle sue parole, il giovane leader iniziò ad organizzare la resistenza armata contro le truppe portoghesi guidate da Domingos Velho e da Vieira de Melo oramai pronte ad avanzare verso Palmares per reprimere nel sangue e distruggere Macaco, il mocambo (“villaggio”) principale del quilombo. Nel 1694 viene sferrato l’attacco finale da parte dell’esercito portoghese; a Macaco Zumbi dimostrò tutta la sua preparazione tattica e le sue capacità di leadership, riuscendo ad organizzare più di duecento uomini armati (quasi totalmente schiavi africani) che seppero tenere testa alle offensive brutali dei militari portoghesi per ore. Alla fine però le truppe portoghesi riuscirono a vincere la resistenza tenace degli schiavi neri e dopo 94 anni di autonomia, libertà e autogestione si poteva considerare terminata per sempre l’esperienza ribelle del Quilombo di Palmares.

La storia dei quilombos e delle ribellioni degli schiavi africani nei primi anni dell’epoca coloniale in America Latina è stata per troppo tempo dimenticata (volutamente o meno) e sono stati innumerevoli i tentativi di cancellarla, ma la loro importanza è assolutamente innegabile in quanto dimostrazione che si poteva combattere la schiavitù formando delle società in cui tutti gli uomini si potevano considerare liberi ed eguali tra loro e in cui la proprietà privata della terra non esisteva. Questa è la storia delle comunità libere, autonome e autogestite fondate dagli schiavi africani ribelli e fuggiaschi nel Brasile del XVI secolo e della loro resistenza alle violenze del colonialismo portoghese e alla disumanità dello schiavismo.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.