Prendere sul serio l’inselvatichimento

Prendere sul serio l’inselvatichimento
Torno nuovamente a pubblicare una traduzione di un testo apparso sul blog di Dark Mountain Project. Un articolo che parla di selvatichezza e inselvatichimento, temi urgenti e attuali per ripensare al nostro stile di vita e per immaginarci, nel qui e ora, alternative alla catastrofe ecologica a cui stiamo assistendo e all’ecocidio che la civiltà del capitale sta attuando. Temi importanti perchè possono permetterci di mettere in discussione i miti del progresso e dello sviluppo e riflettere sull’inselvatichimento come processo pratico, concreto, per diminuire l’impatto del sistema tecnologico, industriale e capitalista sulla natura e su noi stessi. Perchè l’inselvatichimento è un’ottima cornice per chi vuole abbandonare la civiltà, ma è giunta l’ora di prenderlo sul serio.

Sembra che sia il turno della nostra civiltà di sperimentare l’irruzione del selvaggio e dell’invisibile; il nostro turno di essere messi a dura prova dal contatto con la realtà non domata.

– Ucivilisation: the Dark Mountain Manifesto

La selvatichezza è il tema principale

L’inselvatichimento si è trasformato in una specie di moda. Internet e le biblioteche sono piene di manuali di istruzioni per l’uso della medicina primitiva, per la costruzione di strumenti primitivi, per l’adozione di un pensiero religioso primitivo… Spesso sono allegati inviti a “risvegliare il nostro spirito primordiale interiore”. Sembrerebbe una sorta di “inselvatichimento”, giusto?

Sbagliato. L’inselvatichimento, se applicato agli esseri umani, non può riguardare solo il cambiamento dello stile di vita. Certo, non si può vivere nella natura se non si sa come costruire un riparo o identificare le piante. Non ci si può immergere nella natura selvaggia senza avere le competenze di base per orientarsi. Ma la moda dell’inselvatichimento ha sbagliato sostanzialmente tutto: non si tratta di vendere un modo per diventare indipendenti dalla civiltà, ma di vendere un’estetica, un’apparenza di autenticità, proprio come i negozi Whole Foods sono progettati per assomigliare ai mercati contadini locali.

Ad esempio, per quanto riguarda il tema dell’orientamento: sarebbe più utile per le persone iniziare con una bussola o con le stelle? Ovviamente la maggior parte degli esseri umani industrializzati, che sanno nominare al massimo una manciata di costellazioni, non vorrebbe orientarsi con le stelle. Ma la tendenza dell’inselvatichimento è quella di cominciare con le stelle, perché è quello che facevano i nostri antenati primitivi.

E sulla questione dell’identificazione delle piante: sarebbe più utile per le persone imparare il nostro sistema di classificazione scientifica, più che adeguato, o imparare una tassonomia indigena? La risposta è chiara, eppure ho parlato con una manciata di persone che hanno apertamente rifiutato di imparare la tassonomia scientifica proprio perché è scientifica e, quindi, innaturale.

Alla fine, dobbiamo chiederci: stiamo cercando di inselvatichirci – di aumentare la nostra autonomia dai sistemi artificiali – o stiamo cercando di apparire interessanti?

La terra deve venire prima di tutto

Ma c’è un effetto collaterale peggiore. L’inselvatichimento, in origine, aveva poco a che fare con lo stile di vita umano. Nasce dal movimento Earth First! quando i fondatori – in particolare Dave Foreman e Howie Wolke – delinearono la loro visione di un vasto sistema di riserve ecologiche in Nord America. A differenza dei precedenti sistemi di riserve, questo includeva territori attualmente non selvaggi, perché gli esponenti di Earth First credevano che la natura selvaggia potesse essere ripristinata rimuovendo sistemi ed edifici artificiali, come le dighe. Foreman scrive: “Dobbiamo… recuperare le strade e la terra arata, fermare la costruzione di dighe, abbattere quelle esistenti, liberare i fiumi incatenati e restituire alla natura selvaggia milioni e decine di milioni di [acri di] terra attualmente colonizzata”.

Si trattava di una visione radicale e, sebbene all’inizio fosse controversa, oggi è abbastanza accettata nell’ambito della biologia della conservazione. In effetti, il collegamento delle aree selvagge è una delle principali preoccupazioni dell’attuale movimento per la conservazione. In questo modo si fornisce un habitat sufficientemente ampio per i predatori e i grandi mammiferi e si riducono le estinzioni di specie, che tendono ad aumentare quando le aree selvatiche diventano “isole” isolate. Gran parte della popolarità di questi concetti è dovuta al lavoro del Wildlands Network, fondato da Dave Foreman dopo aver lasciato il movimento Earth First! a metà degli anni Ottanta.

Ora, è possibile che l’inselvatichimento conservazionista e quello personale siano semplicemente due tipi diversi di inselvatichimento. In effetti, Wikipedia ha attualmente una voce per “Inselvatichimento (biologia della conservazione)” e “Inselvatichimento (anarchismo)”. Ma ho il sospetto che le due cose abbiano troppo in comune per essere considerate concetti completamente separati.

Se qualcuno mi chiedesse perché sono interessato all’inselvatichimento, spiegherei che non voglio essere vincolato ai sistemi artificiali della civiltà; che preferirei vivere nella natura e dedicarmi al lavoro necessario per sopravvivere. In altre parole, sembrerebbe che la mia visione sia inclusa nella voce “inselvatichimento (anarchismo)”. Ma credo anche che Foreman abbia colto nel segno: la terra deve venire prima di tutto. Parte dell’intera filosofia che sta alla base dell’inselvatichimento è il riconoscimento che gli esseri umani non sono così importanti come la cultura civilizzata li ritiene. 

Siamo in gran parte il prodotto del nostro ambiente e del nostro rapporto con esso, proprio come gli animali. È per questo che non si può reinselvatichire un animale in uno zoo. Prima di tutto ha bisogno di un ambiente selvatico. Allo stesso modo, non possiamo insegnare agli esseri umani ad inselvatichirsi e poi dire loro che va bene continuare a vivere in condizioni civilizzate. Hanno bisogno di un habitat per inselvatichirsi. Credere il contrario equivale a commettere un errore chiamato “stile di vita”.

Ancora una volta, mentre la mia motivazione per l’inselvatichimento consiste nel desiderio personale di vivere al di fuori dei confini della civiltà, nella pratica l’inselvatichimento deve dare la priorità alla terra. Questo non significa suggerire una cronologia per il processo di inselvatichimento. Non sto dicendo “conserva la terra, poi impara le abilità”. Voglio dire che, pur facendo entrambe le cose, l’accento deve essere posto sulla conservazione del territorio.

Partiamo dal presente

Al di fuori della cultura della moda, la gente si dispera: sostengono che l’inselvatichimento è impossibile, un sogno irrealizzabile. Io lo chiamo nichilismo ( che non è la stessa cosa del nichilismo filosofico) e anch’esso deriva da un modello concettuale errato. Per esempio, i nichilisti tendono a supporre che un inselvatichimento di successo raggiunge sempre il risultato ideale, o che un inselvatichimento di successo deve raggiungere il suo obiettivo immediatamente. Ma se voglio vivere una vita meno condizionata dai sistemi artificiali, qualsiasi diminuzione del potere di questi sistemi è un passo avanti verso l’inselvatichimento. E, per quanto riguarda la terra, le pratiche di inselvatichimento hanno avuto un profondo successo.

Il trucco è quello di concepire l’inselvatichimento come un progetto pratico per diminuire l’influenza dei sistemi artificiali sulla natura (compresa la natura umana). Consideriamo Yellowstone. Quando i lupi sono stati eliminati, l’intero ecosistema ne ha risentito. Gli alci hanno sovrappopolato l’area e il loro pascolo ha portato a una diminuzione delle popolazioni di castori. Quando i lupi sono stati reintrodotti, hanno predato gli alci e gli impatti artificiali sono diminuiti, arrivando ad esaurire il paesaggio in maniera profonda. Certo, Yellowstone non è il luogo più selvaggio della Terra, ma la reintroduzione dei lupi lo ha protetto dall’impatto dei sistemi artificiali, rendendolo così più selvaggio.

Allo stesso modo, gli zoo spesso preservano popolazioni di animali che poi reintroducono in natura. Lo fanno affrontando la situazione in modo pratico: insegnano agli animali in cattività le abilità necessarie per vivere in natura, poi li reintroducono lentamente. Li tengono sotto controllo, risolvono eventuali problemi e ci riprovano.

Dovremmo adottare lo stesso approccio quando ci occupiamo del reinselvatichimento della nostra vita. Iniziate a delineare tutte le abilità più importanti che dovete imparare: come costruire rifugi, come identificare le piante… In ogni caso, assicuratevi di limitare i vostri sforzi a un problema facilmente risolvibile. Non imparate a identificare tutte le piante, ma solo quelle delle regioni in cui metterete alla prova le vostre capacità. E non cercate di risolvere tutti i problemi. Alcune cose non si risolvono finché la natura, e non la civiltà, non diventa la vostra guida.

Tutto questo non significa che riusciremo a realizzare tutto ciò che vorremmo. Le specie estinte sono un problema costante. E nessun ventunenne cresciuto in una città altamente popolata vivrà mai una vita completamente selvatica. Oltre a riconoscere che abbiamo obiettivi reali e raggiungibili, dobbiamo anche considerare il giusto spazio per il lutto. Il passaggio dalla conservazione ambientale all’inselvatichimento è stato presentato come una prospettiva positiva, un modo per allontanarsi dal grigiore del vecchio ambientalismo e del conservazionismo. In un certo senso è vero. La necessità dell’inselvatichimento rappresenta però un triste dato di fatto della vita moderna: la civiltà ha distrutto così tante aree selvagge che è necessario ripristinarne alcune prima di poter vivere pienamente secondo i nostri valori.

I nichilisti più sofisticati ammetteranno che gli sforzi per tornare al selvatico a breve termine possono benissimo raggiungere i loro obiettivi, ma che a lungo termine la civiltà è destinata a distruggere la natura selvaggia. Non credo che questo sia vero, ma anche se lo fosse non sarebbe sufficiente a porre fine a tutti gli sforzi di inselvatichimento. Se la situazione è del tutto disperata, senza possibilità di successo nella tutela ambientale a lungo termine, senza possibilità di inselvatichimento, senza possibilità di declino o collasso industriale, questo basta solo a convincere le tiepide coscienze ad abbandonare l’azione. Lo spirito indomito, caratterizzato dall’incapacità di vivere senza la natura selvaggia e dalla disponibilità a compiere enormi sacrifici per essa, non sarebbe in grado di sopportare l’immobilità di una vita in cattività. 

Si pensi a Geronimo, che per 36 anni ha guidato i nativi in battaglie contro le potenze coloniali, sottraendosi alla cattura e sfuggendo più volte alla prigionia. Dopo essere stato detenuto dal generale Nelson Miles come prigioniero di guerra, Geronimo alla fine si è rassegnato alla civiltà, lasciandosi trasformare in un’attrazione esotica nelle fiere. Tuttavia, sul letto di morte, proclamò al nipote: “Non avrei mai dovuto arrendermi. Avrei dovuto combattere fino a quando sarei stato l’ultimo uomo vivo”.

Scrivo, quindi, per individui come Geronimo, individui che possano gridare con sincerità e senza riserve il più appropriato dei gridi di battaglia: “Vivi selvaggio o muori!”

RipudiaRE gli idoli della civiltà

“Distruggerò i vostri altari, abbatterò le vostre immagini, getterò le vostre carcasse sulle carcasse dei vostri idoli e l’anima mia vi ripudierà”.

– Levitico 26:30

Ultimamente si sta affermando un nuovo tipo di inselvatichimento: il “rewilding” degli ecomodernisti. L’ecomodernismo sostiene che il progresso tecnologico “disaccoppierà” le persone civilizzate dalla terra, permettendo loro di continuare a vivere in modo confortevole e moderno, riducendo al contempo la loro influenza sulla natura circostante. Accelerando il progresso tecnologico; intensificando la produzione nelle aree civilizzate attraverso l’acquacoltura e l’agricoltura industriale; spostando le popolazioni rurali nelle città: questo, dicono, lascia e lascerà vaste regioni della Terra alla natura selvaggia.

Al di fuori della tesi del disaccoppiamento, la versione dell’ecomodernismo del rewilding si presenta ovviamente più revisionista. Ad esempio, alcuni ecomodernisti sostengono la “de-estinzione”, ovvero l’uso di tecnologie biologiche per riportare in vita specie estinte, in modo da poterle reintrodurre nei loro habitat nativi. Nel considerare queste idee, mi ha sempre colpito il paragone con il concetto ebraico di tikkun olam, “riparare il mondo”. Negli ultimi anni, i gruppi ebraici di sinistra hanno utilizzato questo concetto per promuovere un’idea di progresso, enfatizzando la lotta per la giustizia sociale come l’elemento più importante. Ma l’uomo che mi ha insegnato il tikkun olam ha ripudiato queste interpretazioni arroganti, sottolineando che il concetto deriva dalla preghiera Aleinu, in cui il popolo ebraico prega collettivamente Dio di “rimuovere tutti gli idoli dalla Terra e di tagliare completamente tutti i falsi dei; di riparare il mondo”. Per come l’ho imparata io, questi idoli includono l’infinita fede dell’uomo in se stesso per riparare il mondo.

Il dibattito sull’inselvatichimento è simile a quello sul tikkun. Gli ecomodernisti hanno dichiarato che “questa è la terra che abbiamo creato”, quindi dovremmo “gestirla con amore e intelligenza” per creare “nuove meraviglie”. Lo chiamano “inselvatichimento”. Ma l’inselvatichimento non consiste nel continuare a dominare la tecnologia; si tratta di rimuovere gli idoli del Progresso, le dighe, le strade, le multinazionali – e questo include l’infinita fede dell’uomo in se stesso.

Molti filosofi ecologisti e ambientalisti hanno già affrontato i problemi dell’ecomodernismo. Scrive Eileen Crist:

È importante notare che lo sviluppo moderno procede attraverso la conversione e lo sfruttamento di una porzione massiccia del mondo naturale, e questa particolare porzione non è separata dall’umanità. La porzione di biosfera che la modernizzazione assimila, l’umanità è e sarà molto accoppiata con essa; solo che “accoppiata” non è la parola giusta – dominata in modo completo è una rappresentazione più accurata […] Su tutti i fronti, la produzione alimentare industriale è una spietata sottomissione, mediata dalle macchine, della terra e dei mari, nonché degli esseri selvatici e domestici.

Ma Crist critica l’ecomodernismo dal punto di vista del bio- o ecocentrismo – le giustificazioni filosofiche originali che Dave Foreman e altri hanno dato per il rewilding – e anche l’ecocentrismo ha alcuni problemi. Si tratta di una corrente etica della tradizione dell’ecologia profonda che sostiene che la natura ha un valore morale intrinseco. I teorici discutono sull’unità di valore morale – l’organismo, l’ecosistema, la biosfera? – ma il risultato finale è sempre lo stesso: gli ecocentristi proteggono la natura perché essa merita la loro considerazione morale. E quando sono contrari alla civiltà, lo sono per amore della natura. Tra l’altro, questa idea lascia ampio spazio alle strategie di separazione.

Gli ecomodernisti hanno ragione: secondo questa versione dell’ecocentrismo, accelerare lo sviluppo della civiltà è auspicabile se si traduce in un maggior numero di terre selvagge. Può essere respinta solo se sosteniamo con orgoglio che l’intero scopo di preservare la natura selvaggia è perché vogliamo sperimentare e idealmente vivere in condizioni più selvatiche. La filosofia presenta problemi ancora più gravi.

Alcuni sostengono che l’ecocentrismo segue la tendenza osservabile degli esseri umani ad espandere le loro capacità altruistiche dalla banda alla tribù alla nazione e ora all’intera umanità. Il passo successivo, chiaramente, è quello di includere la vita non umana. Ma questo argomento ignora un punto importante: un “cerchio morale” allargato dipende ed è il risultato di un’infrastruttura civilizzata. I biologi hanno scoperto che l’altruismo negli organismi, pur essendo una parte importante della loro strategia evolutiva, si evolve solo in misura limitata. Negli esseri umani, sembra che l’altruismo naturale sia limitato a circa 150 persone, dopo di che i gruppi devono elaborare regole, rituali e altri meccanismi di regolamentazione per mantenere la coesione. Naturalmente, il numero esatto è irrilevante. Il punto è che l’altruismo oltre un certo punto deve essere instillato. Questa è la differenza tra la solidarietà – l’altruismo dell’uomo naturale – e il senso civico: l’altruismo dell’uomo civilizzato.

Norbert Elias scrive di un esempio storico di educazione morale nel primo volume della sua opera magna Il processo di civilizzazione. Elias sostiene che, invece di adottare semplicemente i costumi sociali europei, le popolazioni del Medioevo sono state sottoposte a un lungo periodo di educazione che ha plasmato il loro comportamento attraverso la vergogna, il senso di colpa, il disgusto e altri sentimenti simili.

Per esempio, Elias passa in rassegna diversi manuali di galateo e sottolinea che i comandi ora riservati ai bambini venivano impartiti regolarmente agli adulti. Le persone del Medioevo dovevano sentirsi dire di non defecare sulle scale e sulle tende, di non toccarsi le parti intime in pubblico, di non salutare chi si sta lavando, di non esaminare il fazzoletto dopo averci soffiato dentro, di non usare vari pezzi di stoffa pubblica come fazzoletti, di non usare il cucchiaio per servire il cibo, di non offrire cibo che hanno morso, di non mescolare la salsa con le dita…

Oltre all’istruzione diretta, la società europea ha anche sviluppato tabù sul sesso, la defecazione e la minzione; ha emanato leggi e ha reso l’inosservanza di importanza cosmica utilizzando il dogma cristiano. In altre parole, la “seconda natura” europea si è sviluppata solo attraverso sistemi multipli e interconnessi e in un lungo periodo di tempo.

Elias sostiene che l’instillazione di una seconda natura negli europei si è resa necessaria perché, proprio nello stesso periodo, il mosaico di territori feudali, di capi e di città si stava consolidando in società statali molto più grandi. Al giorno d’oggi, con gli Stati e i loro sistemi educativi già consolidati, una trasformazione sociale su larga scala non è necessaria, e i cittadini di solito attraversano gli stessi processi educativi in gioventù.

Oggi l’ideologia dominante della civiltà globale, in termini di potere, è l’umanesimo secolare. Tra le altre cose, questo afferma che tutta l’umanità appartiene a un’unica comunità morale e che ogni membro di questa comunità ha l’obbligo morale di riconoscere i diritti e la dignità intrinseca di tutti gli altri, il che, convenientemente, include il diritto di vivere in modo industriale. Questa è l’ideologia predicata dalle Nazioni Unite, dalle università, dalle ONG e dalle aziende progressiste come Facebook. La connessione tra le persone diventa un obiettivo importante; lo sviluppo, un altro. L’ideologia è sostenuta da infrastrutture civilizzate, come i sistemi di comunicazione di massa e di trasporto. Senza di esse, l’umanesimo è insostenibile. L’ecocentrismo sarebbe altrettanto insostenibile, perché allarga ulteriormente il cerchio morale per includere i non umani. Il trucco, tuttavia, è quello di rifiutare completamente la moralità artificiale.

Voglio essere chiaro. La solidarietà, la cooperazione e l’altruismo in piccoli gruppi sociali naturali sono necessari per la crescita umana. L’animale umano ha bisogno di compagni, genitori, coetanei, anziani per andare oltre la semplice sopravvivenza e vivere bene. Ma la civiltà deve essere instillata; è una modifica tecnologica. Si consideri il pensiero di Freud su questo tema in Il Disagio della Civiltà, in cui scrive che uno degli elementi caratteristici della civiltà è “…il modo in cui sono regolate le relazioni degli uomini tra loro, le loro relazioni sociali – relazioni che riguardano una persona come vicino, come fonte di aiuto, come oggetto sessuale di un’altra persona, come membro di una famiglia e di uno Stato” (proprio come le buone maniere sociali cominciarono a essere regolate nel Medioevo).

Ma Freud avverte che gli elementi repressi della natura umana possono esprimersi in due modi. Da un lato, questi desideri potrebbero essere reindirizzati verso i problemi della vita civile “… e quindi potrebbero rivelarsi favorevoli a un ulteriore sviluppo della civiltà”. Dall’altro lato, questi desideri “possono anche scaturire dai resti della loro personalità originaria, che non è ancora stata domata dalla civiltà e può quindi diventare la base… dell’ostilità alla civiltà”. L’impulso alla libertà, quindi, è diretto contro particolari forme ed esigenze della civiltà o contro la civiltà stessa”. L’inselvatichimento non può consistere nel tentativo di creare una particolare forma di civiltà, come un’espansione del concetto di giustizia che includa i non umani. L’inselvatichimento comporterà lo scioglimento delle catene di regole artificiali che attualmente legano la nostra “personalità originale, che è ancora indomita”.

Questo tipo di inselvatichimento non assomiglierà minimamente a quello che si trova sui siti web con gli e-store, sui profili Instagram o sulle riviste di lifestyle. Anzi, sarà considerata in modo estremamente negativo. Per esempio, nel 1785 un gruppo di schiavi liberati e fuggiti e di servitori bianchi si stabilirono in un’area selvaggia oggi nota come Indianapolis. Peter Lamborn Wilson scrive:

Si mescolarono con gli indiani Pawnee e intrapresero una vita nomade modellata su quella delle tribù locali di cacciatori-raccoglitori. Guidati da un “re” e una “regina”, Ben e Jennie Ishmael, […] erano noti come raffinati artigiani, musicisti e ballerini, astenuti dall’alcol, praticanti la poligamia, non cristiani e integrati razzialmente […] Intorno al 1810 avevano stabilito un ciclo di viaggi che li portava annualmente da Indianapolis (dove il loro villaggio divenne gradualmente una baraccopoli) attraverso un triangolo formato dalle frazioni di Morocco e Mecca nell’Indiana e Mahomet nell’Illinois […].

I pionieri bianchi “ufficiali” più tardi detestavano gli Ismaeli, e a quanto pare il sentimento era reciproco. Intorno al 1890 si trova questa descrizione di un anziano: “È un anarchico, naturalmente, e ha l’istintiva, invidiosa antipatia, così caratteristica della sua gente, per chiunque sia in una condizione migliore della sua”. […] L’osservatore prosegue: ‘Ha abusato della legge, dei tribunali, dei ricchi, delle fabbriche, di tutto’. L’anziano affermava che “la polizia dovrebbe essere impiccata”; era pronto, diceva, a bruciare le istituzioni della società. “Sono migliore di qualsiasi uomo che indossi abiti da negozio”.

Siamo pronti a essere considerati come gli Ismaeli?

Vivere in modo selvaggio

L’inselvatichimento è un’ottima cornice per chi vuole abbandonare la civiltà, ma è giunta l’ora di prenderlo sul serio. Non possiamo commettere l’errore di scadere nel semplice “stile di vita”: dobbiamo lasciare lo zoo per inselvatichirci e dobbiamo considerare gli esseri umani allo stesso livello dei non umani. E non possiamo scambiare l’inselvatichimento per un progetto progressista: il punto è diminuire la forza dei sistemi artificiali, non aumentarla. Foreman, nella prima newsletter di Earth First! disse giustamente: “Non un’opposizione cieca al progresso, ma un’opposizione ad esso con gli occhi spalancati”.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.