Relativismo Culturale e Diritti Umani

Relativismo Culturale e Diritti Umani

Nel 1947, l’antropologo statunitense Melville Herskovits, allievo di Franz Boas, scrisse una bozza riguardante la “Dichiarazione dei Diritti Umani” nella quale introduce il tema del relativismo culturale e la relazione profonda ed inscindibile tra l’individuo e la sua cultura di riferimento. Herskovits sostiene che il rispetto della dell’individuo ed il rispetto per la sua cultura sono due facce della stessa medaglia; questo perchè l’individuo attraverso la propria cultura di appartenenza interiorizza modi di pensare e comportamenti accettabili o condannabili.

La definitiva Dichiarazione dei Diritti Umani (1948) però ha completamente distorto il significato originario di relativismo culturale presentato da Herskovits, assumendo un carattere fortemente occidentocentrico e quindi accentuando il carattere relativista piuttosto che l’interesse verso la ricerca di universali e di un dialogo tra culture differenti. Herskovits era convinto che, per scongiurare una dichiarazione universale dei diritti umani di stampo etnocentrico ed occidentale, si dovesse realizzare che i modi di pensare e di agire, i valori e i comportamenti di ogni individuo sono modellati dalla sua cultura e società di appartenenza. A proposito di questo scrive Herskovits che “la personalità dell’individuo può affermarsi pienamente solo nel riconoscimento della cultura della sua società di appartenenza”.

Nella storia dell’occidente, segnata da conquiste, imperialismo e colonialismo, attraverso i quali si è realizzata una imponente espansione ed egemonia politica economica, il contatto con la differenza culturale si è risolta non in un riconoscimento della differenza e in un dialogo interculturale, bensì in una convinzione di superiorità della cultura occidentale, superiorità che ha giustificato e legittimato violenze di ogni genere.

Herskovits individua tre assunti fondamentali per stendere una dichiarazione realmente rispettosa delle differenze culturali. Innanzitutto bisogna partire dal riconoscimento che ogni individuo realizza la propria personalità attraverso e all’interno della propria cultura, perciò il rispetto per le differenze individuali implica obbligatoriamente il rispetto per la differenza culturale. Herskovits pone come secondo punto fondamentale il rispetto per le differenze culturali, perchè non esiste nessuno strumento di valutazione qualitativa delle culture e quindi è impossibile e privo di logica sostenere che la cultura X sia migliore della cultura Y. Infine, come terzo assunto, l’antropologo sostiene che gli standard comportamentali e di valori sono relativi alla cultura di riferimento dell’individuo; questo perchè ogni individuo apprende ed interiorizza norme, aspirazioni e valori della società e della cultura a cui appartiene, considerandoli come verità universali, invece che relative come in realtà sono.

Basandosi su questi tre assunti Herskovits arriva alla conclusione che i diritti dell’essere umano non possono limitarsi all’affermazione degli standard di una singola cultura (ovvero quella occidentale). Commettendo l’errore di rendere occidentocentrica ed etnocentrica la dichiarazione universale dei diritti umani si impedirebbe un reale rispetto delle differenze ed un concreto dialogo interculturale, portando all’aumento di sentimenti quali frustrazione e risentimento nei confronti dei valori occidentali presentati come universali.

Quando Herskovits parla di relativismo culturale e di rispetto totale per le differenze culturali non si sta però rassegnando all’impossibilità di critica, di dialogo e di comparazione tra culture differenti, bensì il suo intento è quello di realizzare un reale dialogo tra culture, un confronto basato su uguaglianza e parità, condizioni che permettono di esprimere un proprio giudizio morale senza cadere nell’errore etnocentrico. Perchè, come sostiene l’antropologo americano, la libertà e la giustizia, non che l’uguaglianza, si realizzano solamente quando all’individuo è permesso vivere seguendo la concezione che la sua cultura e la sua società di appartenenza attribuiscono al concetto di libertà.

 

(Fonte di ispirazione: Relativismo Culturale: In Difesa di un Pensiero Libero, saggio scritto da Angela Biscaldi)

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.

2 Risposte a “Relativismo Culturale e Diritti Umani”

  1. d altronde l occidente è sempre stato distruttore di altre culture dai romani in poi, l america l africa , ne sanno qualcosa, trovo strano come nella nostra cultura ,storicamente si sviluppino grande idee ed aneliti verso la libertà ed i diritti di tutti i popoli, e nello stesso tempo si procedi pragmaticamente alla distruzione di questi e delle loro culture

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