Tecnologia e lotta di classe (di Wolfi Landstreicher)

Tecnologia e lotta di classe (di Wolfi Landstreicher)
Il sabotaggio della tecnologia ha sempre svolto un ruolo cruciale all’interno delle lotte dei lavoratori e della classe operaia, partendo proprio dalla Rivoluzione Industriale inglese con i luddisti impegnati in una radicale critica pratica alla tecnologia industriale emergente che prese la forma della distruzione dei primi telai meccanici nelle fabbriche. Ripensare dunque al rapporto tra la lotta di classe e il tema della tecnologia e della sua presunta neutralità, attraverso la categoria del sabotaggio, è urgente quanto attuale se si vuole realmente scardinare un sistema economico come quello capitalista che saccheggia le risorse finite di un pianeta al collasso nella sua corsa famelica al profitto, al progresso e allo sviluppo infiniti. Il contributo di Wolfi Landstreicher, autore anticivilizzazione, può dare spunti interessanti per un’analisi e una riflessione necessarie oggi che siamo in piena crisi ecologica-ambientale causata proprio dall’attuale fase tecno-industriale del capitalismo globalizzato. Soprattutto per evitare di delegare ancora una volta allo stesso sistema che devasta, distrugge e saccheggia gli ecosistemi, che addomestica e sfrutta umani, non umani e natura, di trovare delle illusorie soluzioni dipinte di retorica “green” per pulirsi le mani sporche di sangue.

Gli sviluppi tecnologici degli ultimi sessant’anni – l’industria nucleare, la cibernetica e le relative tecniche informatiche, la biotecnologia e l’ingegneria genetica – hanno prodotto cambiamenti fondamentali nel terreno sociale. I metodi di sfruttamento e di dominio sono cambiati e per questo motivo le vecchie idee sulla definizione di classe e sulla lotta di classe non sono adeguate a comprendere la situazione attuale. L’operaismo dei marxisti e dei sindacalisti non può più nemmeno essere immaginato per offrire qualcosa di utile allo sviluppo di una pratica rivoluzionaria. Ma nemmeno rifiutare semplicemente il concetto di classe è una risposta utile a questa situazione, perché così facendo si perde uno strumento essenziale per comprendere la realtà attuale e come attaccarla.

Lo sfruttamento non solo continua, ma si è intensificato notevolmente sulla scia della nuova tecnologia. La cibernetica ha permesso il decentramento della produzione, diffondendo piccole unità produttive sul territorio sociale. L’automazione ha ridotto drasticamente il numero di lavoratori necessari per un particolare processo produttivo. La cibernetica ha inoltre creato metodi per accaparrarsi profitti immediati apparentemente senza produrre nulla di concreto, permettendo così al capitale di espandersi con costi di lavoro minimi.

Inoltre, la nuova tecnologia richiede una conoscenza specialistica che non è accessibile alla maggior parte delle persone. Questa conoscenza è diventata la vera ricchezza della classe dominante nell’epoca attuale. Nel vecchio sistema industriale, si poteva considerare la lotta di classe come la lotta tra lavoratori e proprietari per i mezzi di produzione. Oggi questo non ha più senso. Con l’avanzare della nuova tecnologia, gli sfruttati si ritrovano in posizioni sempre più precarie. Il vecchio posto di lavoro qualificato in fabbrica, che durava tutta la vita, è stato sostituito dal lavoro a giornata, dal settore dei servizi, dal lavoro temporaneo, dalla disoccupazione, dal mercato nero, dall’illegalità, dai senzatetto e dalla prigione. Questa precarietà garantisce che il muro creato dalla nuova tecnologia tra gli sfruttatori e gli sfruttati rimanga invalicabile.

Ma la natura stessa della tecnologia la pone al di fuori della portata degli sfruttati. Lo sviluppo industriale precedente aveva come obiettivo primario l’invenzione di tecniche per la produzione di massa di beni standardizzati a basso costo e ad alto profitto. Questi nuovi sviluppi tecnologici non mirano tanto alla produzione di beni, quanto allo sviluppo di mezzi per un controllo sociale sempre più approfondito e diffuso e per svincolare il più possibile il profitto dalla produzione. L’industria nucleare richiede non solo conoscenze specialistiche, ma anche alti livelli di sicurezza che pongono il suo sviluppo sotto il controllo dello Stato e portano a una strutturazione militare in linea con la sua estrema utilità per l’esercito. La capacità della tecnologia cibernetica di elaborare, registrare, raccogliere e inviare informazioni quasi istantaneamente serve allo Stato per documentare e monitorare i suoi sudditi e per ridurre la conoscenza reale di coloro che governa a bit di informazioni – dati – sperando, così, di ridurre le reali capacità di comprensione degli sfruttati. La biotecnologia dà allo Stato e al capitale il controllo sui processi più fondamentali della vita stessa, consentendo loro di decidere che tipo di piante, animali e, col tempo, persino esseri umani possono esistere.

Poiché queste tecnologie richiedono conoscenze specialistiche e sono sviluppate allo scopo di aumentare il controllo dei padroni sul resto dell’umanità anche nella nostra vita quotidiana, la classe sfruttata può essere meglio intesa come quella esclusa da queste conoscenze specialistiche e quindi dalla reale partecipazione al funzionamento del potere. La classe padronale è quindi composta da coloro che sono inclusi nella partecipazione al funzionamento del potere e nell’uso reale della conoscenza tecnologica specializzata. Naturalmente si tratta di processi in corso e i confini tra inclusi ed esclusi possono, in alcuni casi, essere sfuggenti, poiché un numero crescente di persone viene proletarizzato – perdendo qualsiasi potere decisionale sulle proprie condizioni di vita.

È importante sottolineare che, sebbene queste nuove tecnologie siano destinate a dare ai padroni il controllo sugli esclusi e sulle ricchezze materiali della terra, esse sono di per sé al di fuori del controllo di qualsiasi essere umano. La loro vastità e la specializzazione che richiedono si combinano con l’imprevedibilità dei materiali su cui agiscono – particelle atomiche e subatomiche, onde luminose, geni e cromosomi, ecc. – per garantire che nessun essere umano possa capire completamente il loro funzionamento. Questo aggiunge un aspetto tecnologico alla già esistente precarietà economica di cui la maggior parte di noi soffre. Tuttavia, la minaccia di un disastro tecnologico al di fuori di ogni controllo serve anche a controllare gli sfruttati: la paura di altre Chernobyl, di mostri geneticamente modificati o di malattie sfuggite ai laboratori e simili, spinge le persone ad accettare il dominio dei cosiddetti esperti che hanno dimostrato i propri limiti più e più volte. Inoltre, lo Stato – che è responsabile di ognuno di questi sviluppi tecnologici attraverso le sue forze armate – è in grado di presentarsi come un argine contro il dilagante “abuso” della tecnologia da parte delle aziende. Quindi questo mostruoso, ingombrante e incontrollabile gigante serve molto efficacemente agli sfruttatori per mantenere il loro controllo sul resto della popolazione. E che bisogno hanno di preoccuparsi dei possibili disastri quando la loro ricchezza e il loro potere li hanno certamente dotati di piani di emergenza per la loro stessa protezione?

Così, la nuova tecnologia e le nuove condizioni di esclusione e precarietà che impone agli sfruttati minano il vecchio sogno dell’espropriazione dei mezzi di produzione. Questa tecnologia – controllante e fuori controllo – non può servire ad alcuno scopo veramente umano e non ha posto nello sviluppo di un mondo di individui liberi di creare la propria vita come desiderano. Quindi le utopie illusorie dei sindacalisti e dei marxisti non ci servono più. Ma ci sono mai servite? I nuovi sviluppi tecnologici sono specificamente incentrati sul controllo, ma tutto lo sviluppo industriale si è basato sulla necessità di controllare gli sfruttati. La fabbrica è stata creata per riunire i produttori sotto un unico tetto e regolare meglio le loro attività; la catena di produzione ha meccanizzato questa regolazione; ogni nuovo progresso tecnologico nel funzionamento della fabbrica ha messo ulteriormente sotto controllo il tempo e i movimenti dell’operaio. Pertanto, l’idea che i lavoratori potessero liberarsi prendendo in mano i mezzi di produzione è sempre stata un’illusione. Era un’illusione comprensibile quando i processi tecnologici avevano come obiettivo primario la produzione di beni. Ora che il loro scopo primario è così chiaramente il controllo sociale, la natura della nostra vera lotta dovrebbe essere chiara: la distruzione di tutti i sistemi di controllo, quindi dello Stato, del capitale e del loro sistema tecnologico, la fine della nostra condizione di proletarizzazione e la creazione di noi stessi come individui liberi in grado di determinare il modo in cui vivremo.

Contro questa tecnologia la nostra arma migliore è quella che gli sfruttati hanno usato fin dall’inizio dell’era industriale: il sabotaggio.

Pubblicato da Stefano

Chi sono? Domanda troppo difficile a cui rispondere. Per farla il più semplice possibile mi chiamo Stefano, sono una creatura selvatica di 28 anni e da che ho ricordo amo stare all'aperto, a contatto con l'ambiente naturale e soprattutto camminare nei boschi e in montagna. Il grande gioco della vita mi ha portato sui sentieri dell'educazione in natura e della pedagogia del bosco, ambito in cui sono attualmente in formazione. Prima di questo ho fatto tante cose, alcune più interessanti di altre e ho seguito quasi sempre i miei interessi, le mie passioni e la mia motivazione intrinseca, dall'antropologia alla controcultura punk per citare due degli ambiti che mi hanno formato come individuo negli ultimi dieci anni della mia vita, sempre accompagnato da una profonda tensione anarchica, una spontanea coscienza ecologista, una radicale critica alla civilizzazione e la curiosità verso tutte le forme in cui si incarna e manifesta la selvatichezza e il non-addomesticamento dell'essere umano, degli animali e della natura.